13 settembre 2013

L'amour - pt. 6

(Continua da qui)
Alla fine di un'estate, Luca si trovò da solo col suo tempo per la prima volta negli ultimi anni. Ripassava nella mente le ragazze che lo avevano accompagnato nel suo lungo cammino universitario, immaginandone i volti. Non li contava più. Non perché fossero troppi, ma perché ormai conosceva bene la stupidità che si cela nel farlo. Li scorreva veloci, senza soffermarsi su alcuno: quasi non li distingueva. Molti avevano perso gli occhi, altri la bocca...qualcuno anche il nome. Nel rendersene conto si rattristò un po'.
Un equilibrio precario, mantenuto con grandi mazzate alla botte - di vino, birra e vodka - e con tremendi colpi al cerchio, fatto di infiniti pomeriggi piegato sui libri, lo aveva sostanzialmente tenuto in piedi nelle sue scarpe fino ad allora. Non era felice...tranquillo, forse addirittura sereno, ma non felice. Una volta l'aveva conosciuta, la felicità, forse anche due. Ma era sempre stata destinata a finire. Non esisteva il per sempre.
Ripensando con rammarico alle occasioni perdute, si crogiolava un po' nelle esperienze dei semestri trascorsi. Dalla prima meraviglia che aveva provato toccando il corpo morbido di Elena, aveva vissuto altre innumerevoli sorprese e avventure. Non aveva mai smesso di ricercare quel tremito leggero che si prova avvolti tra due gambe vellutate, con le unghie conficcate nella schiena. Un attimo. Il circuito del piacere si libera vibrante, rilasciando gocce di felicità da qualche parte dentro la testa, che rapide come un fulmine pervadono il ventre e tutto il corpo in un'abbraccio purificante. Nessun pensiero. Nessun rimorso.
"In amor vince chi fugge" - anche se forse amore poi non era: aveva imparato presto come avere quello che voleva dalle ragazze, e con un cuore infreddolito e non più disposto a lasciarsi ghermire, non faticava a dimostrare l'eterna verità del detto antico. Fare l'amore e fare all'amore, erano due sottili sfumature letterarie che nella sua testa occupavano stanze lontane: la gioia del sesso non riempiva il petto come il sentimento che un tempo lo attanagliava, né poteva sostituirsi ad esso. Era come paragonare una stella cadente all'estate - un fulmineo desiderio al costante calore del sole. Eppure da che l'estate era finita, non faceva altro che girare nelle notti col naso all'insù, scrutando il cielo attraverso il fondo di un bicchiere che si vuotava. Aveva freddo.

Seduto sullo stesso divano, dischiudeva di nuovo gli occhi dal sogno di quel bacio, ormai invecchiato ma non meno splendente. Pochi giorni dopo avrebbe finalmente provato il segreto sapore di lei. Ricordava come la sicurezza di quel giorno fatidico si squagliò in una notte, la cui fiamma bruciava ancora, nonostante le cicatrici fossero adesso raggrinzite e pallide. L'aveva trascinata nel suo letto d'infanzia, stringendone la mano come quando giocavano da bambini. Riviveva la paura, che come un fantasma, era tornata ad infestare le sue spalle goffamente impegnate a stringere quel corpicino delicato. Sentiva ancora la pressione salire tra le tempie, sotto il peso di pensieri sciocchi: per lo più paragoni con amanti migliori che lo fecero sentire piccolo piccolo. Non era pronto. All'epoca non sapeva quante volte avrebbe voluto rivivere quella notte con lei, ricco delle esperienze che sarebbero venute poi. Adesso rivedeva con nostalgica timidezza quel Luca ragazzo, che arrossiva e tremava mentre cercava di essere un uomo. Anche lei non era pronta. Quei ciuffi dorati che suggerivano l'amore tenero delle favole, giacevano immobili sul materasso colorato. Nelle labbra rosa dove aveva sempre sognato un tiepido paradiso, non aveva trovato nessun agognato conforto. Quando lei scoprì il seno e si sfilò il lungo vestitino chiaro, la sua figura algida lo paralizzò per tanta fragilità e insicurezza. Mossi dall'impeto del più strano periodo delle loro giovani esistenze, si erano trovati nudi l'uno di fronte all'altra, senza sapere bene il perché. Rivedeva tra le efelidi castane quel sorriso triste, che interrogativo cercava il bacio di lui. Non aveva mai provato emozioni così pure e contrastanti, e forse ne sarebbe stato impossibile il ripetersi. Non bastò il corpo di seta che lo sfiorava a smuoverlo da quel blocco. Le sue braccia si muovevano spente mentre le afferrava i fianchi e il seno. Con la testa rapita nel suo mondo di paura, Luca non aveva vissuto quel momento. L'aveva baciata meccanicamente e, ancora tremante, aveva congiunto il suo corpo a quello di lei che lo fissava turbata. Le leggeva crescere negli occhi i dubbi che lui stesso aveva. Rivedendo nella memoria i due corpi che si avvitavano insicuri, Luca adesso gridava di fermarsi, di non rovinare tutto, di non gettare al vento un tesoro cui aveva dato mille nomi, senza ancora trovarne uno giusto.

Ricordava il verde di lei che lo trafiggeva mentre dava fiato alle sue paure. Che hai? Non rispose. Che c'è? tacque ancora. Non ti piaccio? Non riuscì a parlare. Nuove frasi gli si strozzarono in gola, come un tempo, soffocandolo. Ho paura. Non volevo che succedesse così. Mi piaci così tanto da terrorizzarmi. Temo di non essere all'altezza di te, di Andrea. Con Elena è diverso. Con lei sono a mio agio. Vorrei che tu mi stringessi e mi dicessi che va tutto bene. Vorrei che tu sorridessi mentre facciamo l'amore...
La vide alzarsi da quel letto, cercando le sue cose, mentre continuava a chiedergli quale fosse il problema. Il volto sconvolto da una rabbia disperata e gli occhi di nuovo arrossati. Lui l'aveva accarezzata in silenzio, schiacciato dalla vergogna. Si era sentito un poppante.

Da allora erano usciti assieme altre volte. Ma non era mai più riuscito a parlarle: tutte le volte che l'aveva incontrata, per magia era tornato nudo su quel letto, a tremare per il freddo. Vergogna. Tanto grande da rendergli invisibile il frammento di felicità che, in un giorno di pioggia, aveva intravisto in mezzo alle nuvole. Per qualche mese il telefono aveva continuato a squillare, ma poi finì col non voler più rispondere. Aveva davvero rovinato tutto.
Poggiata sul cuscino accanto a lui, stava la lettera che le aveva scritto qualche tempo dopo: nel rileggere oggi quell'accozzaglia di pensieri sconnessi, di assunzioni di colpe epiche, di confessioni inverosimili e di prostrazione ingiustificata, capiva perché non avesse meritato una risposta.

Il suo sentimento, un tempo puro, aveva mutato i caratteri fino a divenire un'ossessione. Con gli anni si era chiesto se quel suo amore di ragazzo fosse degno di questo nome, ma non aveva mai trovato risposta. Infine si era chiesto come avesse potuto ritrovare la tranquillità, ritornando fra le braccia di Elena, anche se per pochi mesi soltanto. Dopo di lei erano venute tutte le altre.
Aveva reciso il legame con la sua Beatrice, o peggio, lo aveva lasciato sciogliere. Adesso si scopriva a contare i mille nomignoli che le aveva dato. Bea, Bionda, Rubia, Mostriciattolo, Scheggia...Spilla. Quest'ultimo era sempre stato il suo preferito, sapeva di acqua pulita ed allegria; non ricordava più perché aveva smesso di chiamarla così, arrivati al liceo.

Ancora seduto sul velluto azzurro, si accese un'altra sigaretta. Il grande televisore spento rifletteva la sua immagine nello specchio nero. Accanto al cimino rosso che si accendeva ad ogni boccata, non vedeva più nei propri occhi la freschezza di un tempo. Fini solchi cominciavano a piegare la carne attorno agli occhi, che si accartocciava tutta quando rideva. La barba incolta e le guance scavate non raccontavano più le mattine a rincorrere le rane o i pomeriggi distesi a capo all'insù, a dare forma alle nuvole. Ormai sapeva che chiodo schiaccia chiodo...ma anche che ci sono punte arrugginite e tanto grosse da non poter essere cavate.

Prese il telefono. Non sapendo neppure se era ancora lo stesso, compose il numero a memoria.
"Ciao Lu..." Rispose una voce allegra "...era tanto che aspettavo questa chiamata."
"Ciao Spilla..."

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