2 aprile 2012

Darwin

Ho riscoperto il mio amore per la guida. Io, la macchina, l'ipod e la strada. Una di quelle poche situazioni familiari che descrive la tua esistenza nel riposo, in tranquillità. Mi piace cantare al volante, lo faccio dai 18 anni, dalla patente. Sono esercitatissimo. Ormai le serate karaoke sono diventate un must, nonostante la prima volta sia salito sul palchettino di un locale sia diventato tutto rosso e abbia perso di botto la voce e l'intonazione (nonchè la dignità e la spavalderia). Mi piace cantare De Gregori, di lui ho già scritto, l'unico autore che ha colto riflessi e colori che giurerei di aver visto da dietro i miei stessi occhiali...vorrei aver imparato a suonare una chitarra e a mettere in rima le mie idee. Adoro l'indie rock degli anni 2000, quello della mia generazione, inizialmente ignorato e sconosciuto e oggi giorno (ahimè) abusato e sbandierato dalle magliette anche di chi nel lontano 2001 (anno di pubblicazione di Is This It degli Strokes) era ancora tutto perso dietro Gigi D'agostino, Eminem, Britney Spears e tutta il resto della merda musicale con cui ci hanno torturato (e continueranno a farlo in eterno) le nostre radio. Adoro le sperimentazioni elettroniche e la musica intelligente, quella che non si balla per forza o si canta nei club, i nuovi generi che quotidianamente vengono introdotti nel panorama internazionale senza che nessuno all'ombra delle Alpi sembra accorgersi. Mi nutro di Radiohead e bevo Pink Floyd. Se potessi, farei di Up Patriots To Arms di Battiato un manifesto politico. Mi piace quello che mi piace, frase stupida ma non scontata, dettata dalla sensazione che troppo spesso piaccia ciò che piace ad altri. La mia macchina è il mio palcoscenico, il mio metro quadrato di libertà e di sollievo. Non posso imporre agli altri il mio gusto, nè fare mio il loro; un concetto decisamente più chiaro di mesi fa, ma ancora non poi così tranquillizzante. Mi sento diverso come sempre, ma ho visto per una volta le mie idee e posizioni sotto una luce nuova anche se forse intuibile già prima di partire/scappare.
Cose come normalità e stranezza sono puri concetti statistici basati sul numero variabile di individui attribuili alla prima o alla seconda categoria. Non so scoprire, per quanto mi sia sforzato, quale forza attragga i singoli soggetti verso l'una o l'altra via, ma quando i numeri cambiano vi assicuro che il mondo appare completamente invertito. Sono giunto alla conclusione - forse un po' banale - che chi si sente adeguato nel suo mondo, il paesino del Bottegone, la cittadina di Pistoia o il capoluogo fiorentino, ha raggiunto un livello di adattamento tale che sempre gli sarà difficile aderire ai modi e ai costumi di altri luoghi, terre, regioni, nazioni. Per questo chi ha saputo adeguarsi al proprio luogo tenderà sempre a rimanervi o a ritornarvi, creando e rafforzando lo stile e la mentalità che maggiormente aderiscono a quelle di chi, come lui stesso, vive e definisce quella stessa parte di mondo, e lo farà serenamente, senza dubbi o eccessivi aggrottamenti di sopracciglia o incomprensioni. La conseguenza di questi due concetti apparentemente slegati tra loro è una soltanto: essere chi vuoi essere, o più semplicemente chi sei, e magari stare bene nel farlo, dipende da quanto sei un disadattato e da chi hai intorno. Io sto bene in un posto grande, con tanta gente e poche posizioni fisse, poche idee predefinite sul come fare le cose o vestirsi; ergo io non sono adatto a vivere a Bottegone, a Pistoia o a Firenze; ma al contempo coloro che lo sono, molto spesso non sono in grado di apprezzare il restante mondo, se non nella misura in cui quest'ultimo è effettivamente simile al luogo in cui sono adattati e divenuti contenti. E questo ovviamente vale per la Toscana, ma a ben vedere anche per qualsiasi altro luogo sul pianeta. Io però non avverto questo disagio nella mia macchina, nella mia stanza, nelle piazze piene di turisti e in vacanza.
Credo ci sia una verità più profonda dietro tutto questo artificioso giro di parole, ossia che alla fine si possa trovare il modo di adattarsi a vivere in un posto anche canticchiando in macchina, svuotandosi lo stomaco da tutto il brutto che ogni giorno mangiamo stando a giro, e riscoprendo il bello, il nostro e il vostro; io stesso devo essere tanto brutto agli occhi di molti e mi dispiace se i miei discorsi - così come i vostri agiscono su di me - vi infastidiscono e vi fanno perdere di vista ciò che siete e che amate, se non per metterlo a confronto/scontro con gli altri. Basta scontri o litigi, e se proprio ci devono essere, laviamoci colle voci e le chitarrre, i pianoforti e i sintetizzatori. Esiste un posto per cui ognuno è adatto, ma se non lo trovate magari saremo in grado di essere felici un po' ovunque.
E ora, alla fine di tutte queste sibilline elucubrazioni dal gusto tristemente post-adolescenziale, vi lascio con una canzone, tutta per voi e per il vostro mondo