17 settembre 2016

Bianco/nero - Ciclotimia


Ho la sensazione che il mio lato creativo stia lentamente sfumando, così come l'attaccatura dei capelli. Ogni mattina ne abbandono qualcuno al proprio destino sul cuscino, così come si saluta un amico caro che decide di tentar fortuna altrove. Spagna, Francia, Cina, Inghilterra e Brasile, puoi fare il giro del mondo sfogliando la rubrica del cellulare che non squilla più. Al contrario la polifonia della sveglia ogni santo giorno ti strappa a sogni e a ricordi che rimangono sepolti tra le federe. Brandine di ospedale, divani e letti occasionali in cui dormi senza mai riposare davvero. Il sonno che diventa una costante, così come la fame. In fondo è tutta una questione di cibo: tu sei quello che mangi. Ormai sono fatto per metà di bocconi amari e per un'altra metà di ringraziamenti sinceri. Un altro cinquanta per cento è fatto di risate e ironia, ma i conti non tornano. Così come i quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due - gli unici che vengono ancora a curiosare in questo deposito di parole impolverate. Uno sono io, e tu che leggi sei l'altro. Non ti ho scritto negli ultimi mesi, perché non avevo niente da dire. A te almeno. Oggi però c'è il temporale e la metereopatia muove le dita sulla tastiera assieme al malumore. Un elenco di parole che iniziano per mal: mal-essere, mal-inconia, mal-fermo, mal-destro, mal-pagato, mal-di-testa. Le tempie pulsano in preda al frastuono dei fulmini e dei giramenti di palle che lampeggiano alla finestra trasfigurando il paesaggio e il corridoio. Un tunnel tortuoso in cui la tristezza gioca a nascondino coll'allegria senza fare la conta. Bomba libera tutti. Liberaci dal male, dal peccato ma soprattutto dalle bombe e dai terroristi. Terroristi di Al Quaeda, terroristi dell'Isis, terroristi dell'IRA, terroristi dell'afa, terroristi del calcio, terroristi da esame, terroristi dell'ansia. Tutto il mondo sembra girare con le cinture esplosive pronte a farti saltare i nervi. La schiena si inarca mentre la muscolatura si contrae e le articolazioni scricchiolano sotto il peso di tanta negatività e stanchezza...Apri gli occhi ancora infilato nella tutina verde ormai elevata a pigiama ospedaliero ufficiale. Il corridoio comincia a riempirsi dei chiacchiericci del cambio turno infermieristico. Dall'avvolgibile filtra il celeste del cielo che si specchia nelle pozze color asfalto tutt'attorno al piazzale. La voce gutturale del vucumpra all'ingresso risuona attraverso il vetro. Buongiorno! Un aiuto, per favore! Il bicchiere delle elemosina vibra come una campana di Natale. Il sabato mattina ti regala l'allegria della festa, proprio come quella del villaggio di Leopardi. L'attesa del fine-settimana fuori distende i bronci e le rughe. Un esercito di guance scavate e denti caduti si risvegliano teneramente nel rapido giro visita delle 7. La vedova ottantenne al 32 ti stringe la mano al petto mentre chiede se hai la fidanzata. Il signore al 9 vuole assolutamente il tuo numero per portarti a caccia di quaglie o tordi o quello che è. Io però non ho mai avuto questa gran passione per gli uccelli. Sono sempre stato più interessato ai roditori. Le tope, ad esempio, le ho sempre trovate particolarmente simpatiche. La malizia a una certa età non fa più ridere, tranne quando è del tutto ingenua. Come me che ormai mi sono dato al fai-da-te, alle seghe, alle pialle e alla lavorazione del legno. Ho creato uno scaffale per la mia nuova stanza. Non te l'ho detto ma sono andato a vivere con due colleghe in una casa nuova e che ancora non racconta nulla di chi ci vive dentro. Anche se non ti dico più niente a me piace ancora scrivere. Butto giù quello che mi passa per la testa, senza filtri o nessi logici. Inseguo la difficile sensazione di essere libero anche quando non lo sei affatto - patendo come un cane quando invece la catena degli impegni stringe attorno al collo. Nella scrittura faccio quello che voglio. I periodi li inanello sulla suggestione di quello precedente. Potrà sembrarti una costruzione cervellotica, ma è proprio così che la mia testa funziona. Coi neri che si alternano ai bianchi senza soluzione di continuità. Si chiama essere juventino fin nel midollo oppure è semplicemente ciclotimia. Fai tu.



16 maggio 2016

Spesso il male di vivere ho incontrato - e sono scappato

“Quando l'uomo non ha sentimento di alcun bene o male particolare, sente in generale l'infelicità nativa dell'uomo, e questo è quel sentimento che si chiama noia”

In generale io mi annoio. Mi annoio forte.
Questo forse mi rende umano o semplicemente infelice, non lo so. Sul concetto di infelicità si può ragionare quanto vi pare, ma a dire il vero lo trovo assai poco interessante.

Per come la vedo io, dalla noia o si scappa o si muore.
Questa sentenza lapidaria non la intenderei però in senso letterale: A) perché non esiste un luogo in cui la noia non possa trovarti - e temo che questo valga anche per quegli anfratti di mondo per definizione allegri e spensierati quali i Caraibi, Legoland o le cosce di Emily Ratajkowski; e B) perchè la morte per noia - per quanto non contemplata dalla medicina moderna - è in realtà una condizione deprecabile e comunissima, che in genere richiede una vita intera per compiersi.

"Fuggire dalla noia" forse va inteso in un altro senso, qualcosa di più vicino a "cambiare". Quindi esci e trovati una nuova donna o casa, o divano, mestiere, compagnia, bar, drink, look, dieta, pizza, canale, piano tariffario, film preferito, foto profilo, cellulare, orologio, portafoglio, portafortuna, sigarette, aria...Insomma, cambia. Serve davvero? Mi sa di no, però magari un paio di anni li sfanghi e finisci pure col collezionare un sacco di aneddoti che puoi rivenderti al bar o sulla bacheca di FB.

"Dalla noia si scappa" però potrebbe anche essere interpretato come "tieniti sempre occupato": prova a diventare un felice e produttivo essere umano inserito in una sana rete di relazioni sociali e lavorative che occupano il 95% del tuo tempo quotidiano, non te ne pentirai. Si sa infatti che il lavoro nobilita l'uomo, e soprattutto lo rende troppo stanco per pensare - se si esclude il fantasticare sul weekend e sull'ora di andare a letto. Confesso di avere la netta sensazione che nel mio caso diventare adulto più che fornire risposte ai grandi dubbi esistenziali, si limiti al farsi meno domande. Il che suona un po' come dire "continua a fare cazzate, ma senza chiederti perché".
Dai retta a me, girare colla testa piena di "Chi sono?" o di "Cosa mi piace davvero?" non è roba da trentenni - non di quelli felicemente inseriti nel mondo, almeno. Io di anni ne ho ancora ventotto, il che se da un lato mi costringe ancora ad un biennio di seghe mentali e malumori, dall'altro forse mi lascia un'ultima chance di sfuggire al cinismo che pervade la matura età.

Non esiste scampo alla noia, dunque?
Il post cominciava con una citazione erudita, e si conclude con una più illuminante. La letteratura - in fondo - nasce proprio come risposta al nostro bisogno essenziale di svago.

"L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio."



Parafrasi: trova qualcuno che ti faccia ridere e, se ti riesce, tienitelo stretto.

15 febbraio 2016

The Hateful Eight - L'odioso ottavo film di Tarantino



Sono cresciuto a pane, Tarantino e spaghetti western. Nonostante una buona educazione e anni di convivenza con persone di ogni genere e colore, non posso negare che un certo umorismo dal sapore squisitamente razzista e sessista riesca sempre a strapparmi qualche grassa risata compiaciuta. Questo mi rende una persona spregevole? Probabilmente sì, ma la cosa non mi turba molto. Vi dirò di più, quando mi sono seduto sulla poltroncina rossa al buio e davanti a me la scritta "l'ottavo film di Tarantino" appariva a lettere bianche su fondo nero, ho provato quella rara sensazione di essere il tizio giusto al posto giusto e pure circondato da miei simili.
Credo sia importante fare questa premessa per non essere frainteso in quello che sto per dire: The Hateful Eight è una delusione.

[ATTENZIONE: no spoiler - o quasi, non più del trailer comunque]
Intendiamoci bene, questo non è certo il primo buco nell'acqua del regista di Knoxville, alla cui lista di mezze cagate e filmucci dobbiamo ascrivere anche Jackie Brown e Grindhouse - A Prova Di Morte. Una media di 5 capolavori su 8 è un risultato invidiabile, ma evidentemente nel DNA di Tarantino è insita la tendenza a dover commettere un passo falso prima di sfornare pellicole del calibro di Pulp Fiction o Kill Bill.

Cerchiamo di mettere a fuoco le cazzate qui commesse da Quentin: mentre Jackie Brown peccava per una trama troppo lineare e la quasi totale assenza di originalità stilistica - il tutto condito da una delle peggiori interpretazioni di De Niro - il nuovo attesissimo lungometraggio non riesce a centrare l'obbiettivo per un'insopportabile pochezza di contenuti e un'insostenibile dilatazione dei tempi narrativi, che rendono i primi tre quarti abbondanti di film di una noia mortale.
Oltre a ciò, il film si distingue per dialoghi di volgarità epica anche rispetto al tutt'altro che politically correct Pulp Fiction. Diciamo pure che il numero di gomitate che "quella brutta troia succhiacazzi" di Daisy prende nei denti dall'inizio del film, smette già di essere simpatico raggiunta la dozzina - cosa che avviene nei primi venti minuti di riprese. Di gran gusto ho trovato anche la scena del pompino sotto la neve, che si distingue non solo perché l'unica girata in campo aperto - salvandoci dalla claustrofobia che domina il resto del film - ma soprattutto per la totale idiozia della cosa in sé. Infine riguardevole è anche il livello di splatter raggiunto tra teste spappolate, facials di vomito e palle esplose che rendono degno omaggio a quel cinema d'exploitation tanto caro al regista - cosa che aveva già più che abbondantemente dimostrato nell'altro flop A Prova di Morte.

Il punto debole del film comunque è sicuramente la trama: la pellicola non ha alcuna vicenda da narrare e si impernia sulla semplice idea - più o meno ben sviluppata - di mettere assieme otto loschi figuri dal grilletto facile. Mi immagino Tarantino che discuteva della sceneggiatura con quel coglione di Rodriguez dicendo; "Prendiamo una troia criminale, un bounty killer yankee, uno sceriffo mezza sega, un messicano del cazzo, un frocio di inglese, un generale sudista decrepito, un mandriano mammone e un fottutissimo negro cazzuto, li chiudiamo in una stanza e vediamo cosa succede". Indovinate voi. Anche il tentativo di dare un taglio originale alla storia, introducendo un narratore onnisciente che dialoga col pubblico tra una scena e l'altra, si traduce in fin dei conti in un mero esercizio stilistico, che non salva il film da una sostanziale piattezza - pistolettate e battutacce a parte.



La scelta del titolo, traducibile in L'Odiosa Ottavina, ci fornisce qualche altro spunto di riflessione circa le intenzioni originali dietro la sceneggiatura e i personaggi. Tarantino riutilizza due dei suoi attori feticcio, l'onnipresente Samuel L. Jackson (Pulp Fiction, Jackie Brown, Django Unchained e cammeo in Kill Bill e voce narrante in Bastardi Senza Gloria) e Michael Madsen (Le Iene, Kill Bill), assieme ad altri veterani Tim Roth (Le Iene, Four Rooms), Kurt Russell (Grindhouse) e Walton Goggins (Django Unchained) e su ciascuno di questi cuce un ruolo da perfetto figlio di puttana, completamente scevro di quel minimo di umanità presente in più o meno tutti i protagonisti degli altri film - per quanto nascosta sotto svariati strati di cattiveria. Il risultato è che il regista ci porta ad odiare ogni singolo elemento del gruppo, tenendo fede - almeno in questo - alle aspettative create.
Chi ha visto Django, sicuramente ricorda quanto disprezzabili fossero il maggiordomo Stephen (Samuel L. Jackson) e il mandriano Billy Crash (Walton Goggins), tanto che l'intera vicenda narrata trovava il suo acme nella trucidazione di entrambi. Bene, in Hateful Eight, Tarantino ripropone versioni alternative degli stessi due orribili bastardi e ce li innalza a pseudo-eroi della vicenda, quasi si divertisse proprio a far incazzare il pubblico. Anche in questo il regista riesce magistralmente, ma temo che a divertirsi nel farlo sia solo lui.

Il film è caratterizzato da una commistione di generi diversi, in linea con i lavori precedenti, da cui si discosta sensibilmente però per i temi trattati. L'ambientazione western di Django qui è solo una facciata, mentre manca quasi del tutto l'azione e la carica vendicativa di Kill Bill. Questa pellicola invece strizza l'occhio più al dramma psicologico/black comedy in stile Carnage di Roman Polanski, con un'infarinatura di giallo alla Agatha Christie, in cui le misteriose vicissitudini dei personaggi generano un vortice di conflitti personali e ideologici che costituiscono il vero motore della vicenda. Argomenti come la guerra di secessione, la schiavitù, e i "fottuti messicani" fungono però solo da sfondo al continuo gioco di sguardi di Leoniana memoria. Degne di nota in questo senso sono le classiche occhiate truci di Samuel L. Jackson - cui manca solo di dare una ciucciata dal bicchierone di Sprite e dilettarsi in citazioni bibliche, per rivestire i panni di Jules Winnfield di Pulp Fiction. Michael Madsen invece - ahimè - è ben lontano dai fasti del balletto col rasoio de Le Iene e dalla cordiale cattiveria di Kill Bill, per quanto il regista si sforzi di regalargli gli stessi primi piani dei suoi occhi di ghiaccio perennemente accigliati.


In conclusione nel film ci sono tutte quelle piccole cose che hanno reso celebre il regista, anzi forse ce ne sono fin troppe: dialoghi taglienti e volgari, primissimi piani di brutti musi, cattiveria pura, sangue, linea narrativa incasinata, colonna sonora perfetta e citazionismo sfrenato. A tal riguardo è impossibile non notare i riferimenti ai film di John Carpenter, con Kurt Russell al centro dello schermo circondato dal ghiaccio come ne "la Cosa" e che addirittura viene definito "jena" (vedi Fuga da New York e/o da Los Angeles). Tuttavia questi elementi, compreso il cast di primissimo ordine, non bastano a salvare la pellicola, che da un lato è orfana di una trama degna di una sceneggiatura alla "Tarantino" e dall'altra vittima di uno stile eccessivamente rilassato, compiaciuto e autoreferenziale.

Voto: 5 - da non (ri)vedere.

PS: Quentin, aspettiamo a gloria il prossimo capolavoro; sperando che davvero tu ti decida a girare il volume 3 di Kill Bill (o quantomeno a far rilasciare il materiale inedito già girato tra i primi due capitoli) oppure il lungometraggio dedicato ai Vega Brothers (Vic e Vincent, già protagonisti rispettivamente de Le iene e Pulp Fiction) che hai annunciato a più riprese.

6 febbraio 2016

L'importante è andare avanti - Lettera aperta ad amici, compagni ed amanti

Non ci siamo sentiti per un po', è vero.
So che un semplice mi dispiace non ti basta, e che oltretutto suonerebbe ipocrita.
Ti devo delle spiegazioni, e sono qui per dartele - per quanto non sia sicuro che serva a migliorare la situazione.

Dall'ultima volta sono successe tante di quelle cose che non vale neanche la pena di stare qui a elencarle. E' sempre così con le cose: succedono - e in generale lo fanno troppo in fretta.

La vita da specializzando ha dei ritmi assurdi.
La rotazione trimestrale delle turnazioni genera una continua confusione nella tua giornata tipo, che oscilla tra la vacanza-studio pagata e lo sfruttamento di stampo negriero. Al trimestre di mezze giornate lavorative si succede un altro di segregazione in corsia, in cui parole come solitudine e stress assumono nuovi e terrificanti connotati. Nella monocromia della vita di reparto, la deprivazione sensoriale finisce col metterti in contatto col tuo animale guida interiore - anche solo per fare due chiacchiere con qualcuno che non sia in uniforme o in pigiama. Tanto per la cronaca, il mio è una volpe in doppio petto di velluto, nostalgica dei tempi passati a rubare galline di nome Mr Fox.


In questo costante ri-adattamento dei bioritmi impari a valorizzare veramente i momenti di tempo libero, per lo più seppellendoti nel letto alla ricerca del sonno perduto tra guardie di notte sfortunate e weekend di congressi. E così passano i giorni e i mesi, finché poi una mattina ti trovi in ambulatorio le nuove matricole senza che tu neppure ti sia accorto di non esserne più una.
Dove cazzo è finito il mio primo anno pisano?

La via dello specializzando è tutt'altro che rettilinea.
Assomiglia all'autostrada A 12, direzione Genova. La strada inizialmente fila dritta fin oltre la Versilia, scivolando sulla piana che scorre tra il litorale a occidente e le Alpi Apuane a oriente. Poi d'improvviso le montagne sembrano franarti addosso mentre la marea risale fino ad inondare la carreggiata, così che quando non sei costretto ad assecondare le asperità della costa ligure, finisci inghiottito da un tunnel.
Ogni volta che ne riemergi, la luce muta e con essa l'azzurro delle onde, ora blu cobalto e ora grigio plumbeo; il manto di ombra proiettato dall'arco di roccia bruna scompare dietro la curva e torna ad abbagliarti la distesa di abeti e faggi, baciati dai raggi di sole in un trionfo di verde.
La montagna però ha ancora fame e ti rivuole nella sua pancia nera e arancione per poi risputarti fuori, sotto il cielo, adesso ingolfato di nuvole fumose e gremite di pioggia. Mentre gli appennini continuano a masticarti, il tergicristalli scandisce come un metronomo lo scorrere dei chilometri che ti dividono da Genova. Una sottile patina di condensa si forma sopra il cruscotto, rendendo il golfo e le sue insenature un'unica macchia sfuocata di asfalto, su cui file e file di palazzi stanno ritte per magia come tasselli di domino.
Ormai il sole si spegne lontano, tuffandosi in una schiuma infiammata che separa il buio delle montagne dall'orizzonte. E' notte, e i lampioni sparsi sulla costa nera a malapena ne segnano il confine dalle acque altrettanto oscure.

Tu però sei sempre in macchina. Che ci sia il sole, la luna, la pioggia o la nebbia.
Prima almeno ci provavi a telefonare agli altri, quelli rimasti a casa e quelli scappati altrove. La linea però, cade ad ogni maledetta galleria, e ben presto il fastidio per le conversazioni interrotte supera il bisogno esplicito di risentire le voci amiche.
Le chat e i social forse aiutano a sentire meno le distanze, ma sicuramente non funzionano con le mancanze.
Le cose che passano dal finestrino non ti colpiscono davvero. Le cose passano davanti agli occhi senza avere il tempo di fissarsi sulla retina e inchiodarsi in quello strato molliccio di cervello dove sta la memoria. Passano i paesaggi, i volti, le strette di mano e gli abbracci.
Tu tanto se sei sempre in macchina. Che ci sia il sole, la luna, la pioggia o la nebbia.

Se ti dicessi che non ho più fatto salire nessuno a bordo, ti direi una cazzata. Tu mi conosci e sai bene come sono fatto. Anche i passeggeri come i panorami, passano e cambiano a cadenza trimestrale.

L'unica cosa che non cambia è l'ingenuità di essere lo stesso di quando ho girato le chiavi nel cruscotto poco più di un anno fa. Pur ammettendo che ciò sia possibile, se mi fermassi proprio in questo istante, mi troverei semplicemente solo e lontano. Lontano da te, dagli altri e da tutti quelli cui frega qualcosa di chi sono o di chi ero. Ma anche lontano da dove voglio arrivare...



Non volevo essere così pesante. Scusami. Oggi è una giornata piovosa, e la mia metereopatia non accenna a migliorare. A dire il vero, questo è un periodo fuori dal tunnel dell'ospedale e io sto sostanzialmente bene.
Questo ritmo frenetico ha il lato positivo di farti dimenticare tanto quei giorni indistinguibili gli uni dagli altri, quanto quelli in cui assisti alle tragedie vere.

L'importante è andare avanti.

Tu e gli altri siete rimasti indietro, ma almeno so dove guardare.
Se ti scrivo è per dirti che almeno tu non passi. Anche se forse a non passare, è solo la mia idea ingenua di te che avevo prima che girassi le chiavi nel cruscotto.