13 maggio 2015

Specchi rotti

Per una volta voglio parlarvi di una persona che non sono io. So che la cosa potrebbe lasciarvi esterrefatti, ma credo proprio che correrò il rischio.
La persona di cui vi voglio parlare - premetto - è in buona misura frutto della mia fervida immaginazione, ma visto che è dalle mie parole soltanto che la conoscerete, non credo che questo possa compromettere la bontà del discorso.
Si tratta di una creatura fantomatica, un unicorno, se volete - anche se priva di escrescenze cornee in mezzo alla fronte.
La conobbi una notte in strada, per caso - anche se io al caso c'ho sempre creduto il giusto - e a dirla tutta credo di averla vista sì e no altre due volte. I nostri incontri sono stati quanto di più tiepido possiate immaginare: poche parole, diverse risate e qualche incomprensione. Tutto qui. Perché ve ne parlo? Beh la domanda giusta credo debba essere: perché ci stai ancora pensando? Ma ad entrambe non saprei rispondervi se non con un sorriso da ebete e qualche mezzo discorso senza senso.



Viviamo in fondo a due binari diversi, e forse non c'è giorno in cui non mi penta di aver sprecato il breve tempo in cui i nostri treni viaggiavano paralleli, senza fare un pezzo di strada assieme. Non che non ci abbia provato. Purtroppo nella confusione del vagone dove sedevo, ero troppo preso a intrattenere gli altri passeggeri per riuscire a ritagliarmi quei momenti di scambio sincero che richiedono un tempo e una disposizione d'animo del tutto speciali. Gli stessi di cui sento la mancanza adesso - ma non siamo qui a perderci nei rimorsi.
Ciò che rende tanto eccezionale questa creatura, credo sia la totale incoscienza della propria straordinarietà - nel più genuino senso del termine: extra-ordinaria, fuori dal comune, rara, strana, diversa, quello che volete voi. In fondo è sempre così: sono le cose che non sanno di essere belle a piacere di più, investendo voi che guardate del grande onore di saperle apprezzare.
Immaginate di scoprire un ritratto del vostro pittore preferito sulla bancherella di qualche ambulante, e di riconoscerne i colori dietro il velo di polvere misto indifferenza che ne ha ormai permeato le fibre. Un quadro non si giudica dall'autografo, né dalla collocazione in un museo o in mezzo a un mucchio di vinili dalla copertina ammuffita. Un bel quadro non esaurisce il suo messaggio in quello che l'artista voleva dire, ma ne trova di nuovi in ogni paio di occhi che si fermano a interrogarlo.
In questo senso per me era un capolavoro.
Fin dal primo incrocio di sguardi colsi una simpatia che decisamente cozzava col velo di tristezza che traspirava da quel corpicino fine.
Uno specchio che ti abbaglia quando i tuoi occhi sono tangenti alla luce del sole, costringendoti a ruotarli, e in cui vedere riflesso lo spirito che si agita sotto il cervello e la nuvola di cazzate che gli ruotano attorno.
Insicurezza. La stessa che ho io. Quella che ti viene quando non ti senti sulla strada giusta, e acuita da quelli che giurerebbero di averla trovata da un pezzo...per lasciare poi il posto alla consapevolezza che in fondo di giuste non ne esiste nemmeno una. E quindi scoprire l'allegria che viene dal capire che con tutta probabilità non c'è neanche quella sbagliata. 
Tu sei un capolavoro, per me.
Lo so, trovandomi nell'impossibilità di dare un seguito alle mie parole, è comodo per me parlare così. Ma se lo faccio è perché sono un egocentrico del cazzo che ti vuole bene.