18 novembre 2014

Scelte - Cardiobiagio

Lo scrivo qui e spero che rimanga per sempre. Ho deciso che mi specializzerò in cardiologia. Dopo aver passato gli ultimi due anni in geriatria - splendidi, peraltro - sento il bisogno di chiarire questa scelta a tutti quanti, perché questa non suoni come un ripiego o altro.
Non entrerò nel merito dell'esame di specializzazione perché tanto è già stato detto e scritto, perché già troppi si sono incazzati e soprattutto perché lamentarsi non serve a un cazzo, tanto meno su internet. Il punto è che dopo il famigerato concorso mi sono trovato a mettere in discussione la mia posizione circa il mio futuro. In buona sostanza, dopo la prima pubblicazione delle graduatorie - il 10 Novembre scorso - mi sono trovato a dover scegliere tra anestesia a Pisa, cardiologia a Perugia e geriatria a Napoli. Le graduatorie dicevano anche che avevo molte persone davanti a me per poter ottenere un posto a Firenze in caso di eventuali rinunce, tanto in cardio quanto in geria, e di conseguenza in quel momento il mio desiderio di continuare il mio percorso fiorentino si era come volatilizzato. Rimaneva dunque da scegliere tra due città sconosciute, due scuole sconosciute, guidato da un solo consiglio ripetuto allo sfinimento da famiglia e amici: ma tu cosa vuoi fare da grande? 


Avevo poco più 48 ore per sciogliere un dubbio cui non avevo trovato risposta in 6 anni, e questo mi ha sinceramente mandato in crisi. Vedete, geriatria a me piace molto, ma un conto è la scuola di Firenze - la prima e la migliore d'Italia - e un altro sono tutte le altre.
A chiarirmi le idee è stato principalmente il non voler essere il secondo Biagini geriatra. Io non sono il figlio del Dott. Biagini - se non geneticamente parlando. A tutto questo va aggiunta una malcelata fifa di trovarmi male a Napoli.
Ho cliccato sul computer l'accettazione della borsa a Perugia...e che cardiologia sia.

Automaticamente sono stato eliminato dalle graduatorie di anestesia e geriatria e sono iniziati i primi scorrimenti. Dopo una settimana ho scoperto che anche se avessi accettato geriatria non sarei comunque riuscito a fuggire da Napoli, mentre per cardio ero già scalato a Pisa. Non solo, ho scoperto di essere l'unico studente di tutto il mio anno di medicina a Firenze ad avere ottenuto un posto in cardiologia.Tuttavia, restavo fuori da Firenze per uno 0,1 di punteggio, con una sola persona avanti a me. A questo va aggiunto che nel frattempo avevo ottenuto anche una borsa in urologia a Firenze e una in igiene a Bologna.
Passa un'altra settimana e gli scorrimenti mi lasciano comunque nel mio posto in cardiologia a Pisa, ormai praticamente certo di trascorrere i futuri 4 anni all'ombra della torre che pende. Contemporaneamente però, scopro che a questo punto gli scorrimenti mi avrebbero fatto entrare in geriatria - nonché a igiene - a Firenze. Un brutto colpo. Non tanto per l'occasione persa (o per il fatto che qualsiasi altra scuola avessi scelto sarei potuto rimanere in Via Verdi 13), quanto perché adesso la mia scelta assume un insopportabile velo di irriconoscenza nei confronti delle persone con cui ho lavorato negli ultimi due anni. Mi dispiace davvero molto non poter ripagare l'investimento che è stato fatto su di me in termini di lavoro e fiducia - e soprattutto mi mancheranno il mio professore e gli altri specializzandi.
Tuttavia ormai il dado è tratto. Sarò cardiologo. Come in ogni scelta della mia vita, mi sono affidato più al mio naso che al cervello, e finora mi sono sempre trovato bene.



E ora bando alle ciance e dedichiamo qualche riga alle note allegre di tutta questa faccenda. Lascio Firenze. Dopo che tutti i compagni di questi anni di feste e sbronze mi hanno lasciato, è arrivato infine il momento anche per me di partire. So che queste parole possono suonare strane se dette da uno che ha dichiarato innumerevoli volte il suo amore sconfinato per questa città, però mi piace l'idea di salutarla come il luogo dove sono stato bene più che in ogni altro. Non voglio ridurla al grigio contorno di giornate di lavoro in ospedale. 
Questo inoltre comporta un'altra cosa: grande e devastante ultima notte di Via Verdi 13. Tutti invitati, tutti.

Infine ultima postilla, tanto la modestia non è mai stato il mio forte: dopo 20 anni ho finalmente concluso il mio percorso scolastico. E con questa ne approfitto per mandare un ultimo, cordiale e divertito saluto a chi ha bisogno di vomitare la propria ansia sugli altri, ai terroristi da esame, ai megalomani della facoltà impossibile, e soprattutto a quelli dello studio e della medicina come bene supremo cui sacrificare la propria gioventù.
Io non ho mai preso un'insufficienza, mai bocciato un'esame, mai rimandato un appello o perso un concorso...e soprattutto mai rifiutato un bicchiere di vino.
Non siete bravi perché studiate tanto, o perché fate medicina o perché non siete usciti il sabato sera per ripassare farmacologia. Siete bravi se state bene, fate quello che volete e soprattutto non lo fate pesare agli altri.

Ciao,
Cardio-Biagio

15 ottobre 2014

Pane, amore e...follia

Non credo di esagerare nel dire che la vita, senza qualcosa in grado di farti brillare gli occhi ogni tanto, non sarebbe molto viva, appunto.
Dormire, bere, mangiare e trombare. In fin dei conti il senso biologico di un uomo si riduce a sole quattro attività...e per quanto trombare sia senza dubbio la più piacevole, ciò non la rende necessariamente un modo dignitoso di riempire il tempo che ci divide dalla tomba. In sostanza, visto che tutti dobbiamo trombare, cercate di farlo bene, e soprattutto con delle belle topone, o anche se non sono belle che almeno vi attirino in maniera inevitabile. In questo sport credo che noi uomini abbiamo molto da imparare dalle donne: non mi stancherò mai di dirlo, se solo i belli trombassero, la quasi totalità degli omini sarebbe vergine. A mio modo di vedere, l'unica buona sensazione su cui fondarsi per scegliere una cosa cui dedicare il vostro tempo è il "Mi ci vuole". E se per l'amore è indubbiamente vero, certo non lo è meno per il vino o per il cibo.
Se non lo avete ancora capito, stasera parliamo di passioni. Le mie spero, un po', le conosciate. Per chi comunque capita qui per caso, faccio un brevissimo elenco. La musica, il cinema, la scrittura, le donne, i motori e la cucina. Che cosa hanno in comune tutte queste, per me? Il fatto che puoi passare una vita a studiarle, senza poter mai davvero dire capirne abbastanza. Sì, forse io sarò un nerd ma se una cosa mi piace (e mi piace davvero, non perché la fanno gli altri - semmai il contrario) non posso fare a meno di impararne il più possibile. E non mi pesa. Il come si faccia a studiare le donne, sarebbe argomento quantomai divertente, ma ve lo risparmio perché nonostante muoia dalla voglia di fare lo sborone - come ogni uomo che ha trombato più due ragazze in vita sua - non credo sia cosa di cui parlare su internet. E poi c'è già qualcuno molto più bravo di me da cui tutti possiamo imparare.


Quindi di cos'è che parliamo stasera? Ma di cucina, che altro?!
Partiamo col dire che cucinare, nonostante sia molto di moda di questi tempi, è tutt'altro che una faccenda poco seria. La Prova del Cuoco, Master-chef e Le Ricette di Benedetta, sono per loro stessa natura enormi cazzate, nate da un palinsesto tv ormai così scarno di nuove idee che il poter vedere una frittata di carote su la 7 assomiglia all'evento mediatico del giorno. No, no, no...qui stiamo parlando della cucina vera, ossia quella mangiata. N.B: Impiattare non è cucinare. L'occhio vorrà la sua parte, ma nella cucina, i protagonisti assoluti sono le vostre bocchine e i vostri nasini. Purtroppo quest'eterna verità viene ormai offuscata dagli incessanti bombardamenti pubblicitari che propongono hamburger saltellanti saporitissimi e panini multicolor freschissimi. Gli stessi che portano i più ingenui di noi ad affollare i vari McDonalds o Autogrill di questo paese. Per non parlare poi di coloro che credono che due fili di glassa di aceto balsamico, un ravanellino rosso e una foglia d'insalata su una raviera, valgano bene gli 80 euro spesi per un filettino al pepe verde di grammi 150. Per tutti loro, purtroppo, temo non ci sia più molta speranza. Ma per voi che sapete distinguere uno scalogno da un tubetto di aglio essiccato o il prosciutto di cinta senese dal crudo dell'Apprezzo, beh, per voi è il regno dei cieli.

Mangiare bene è l'ultimo sacrosanto baluardo dietro cui ogni italiano dovrebbe arroccarsi e vender cara la pelle. Purtroppo noi non siamo i figli delle mamme cuciniere di una volta, noi siamo cresciuti a suon di "non mi piace" e vittime dei 4 salti in padella Findus. Forse questa però è un'occasione, perché arrivare a 30 anni senza aver mai mangiato la finocchiona o una burrata fresca, ci dovrebbe far sentire ancora piccini, pure nel Bel Paese - che poi tanto bello forse non è più.  Intendiamoci, anche la cucina "etnica" è un altro universo da scoprire. Indiana, pakistana, vietnamita, giapponese ma anche brasiliana, messicana, peruviana, africana, libanese, ceca e chi più ne ha più ne metta. Unica eccezione va fatta per quella tedesca, che è per definizione una merda: parafrasando un noto spot automobilistico, saprete fare le macchine, non siete simpatici e soprattutto non capite un cazzo di cibo. Quando la più grande conquista gastronomica di un popolo sono salsicce bollite, crauti e insalata di patate con acqua, qualcosa davvero non va. Concludo l'argomento dicendo che i piatti della cucina tedesca, sono gli unici che sono molto più buoni se cucinati all'estero - vedi Trentino e zone limitrofe - rispetto che in patria.

Okay, la pianto perché non siamo qui a fare i fichi, ma semmai a cercare di capire perché lo siamo così tanto. Due buoni motivi: l'olio d'oliva e il pomodoro. A mio modo di vedere, è demenzialmente semplice creare qualcosa di commestibile, e poco di più il renderlo decente. Un filo d'olio, una cipollina fresca e un po' di pomodoro. Hai vinto, sicuro. Tuttavia quello che ci sfugge è cosa c'è dietro tanta semplicità. Io personalmente l'ho scoperto vivendo all'estero. Non puoi trovare un pomodoro come il san marzano aldilà delle Alpi - e se lo trovi, ha un peculiare colorito arancione, con qualche vaga sfumatura di vermiglio qua e là - e faresti meglio a lasciarlo dov'è. L'olio d'oliva poi, spagnolo o israeliano che sia, non assomiglia neppure lontanamente a quello nostrano. Non me ne vogliano gli stranieri, ma noi siamo più fortunati. Direte voi che è tutta una questione di gusti...certo, io stesso amo il gulash, l'escondidinho, le tapas, i paté o le quiches. Cazzo, a me piacque anche l'haggis o le frattaglie di pecora al formaggio dentro un cornetto di pasta frolla! Ma mentre questi troiai sono il risultato di miscugli di mille ingredienti e droghe, la cucina italiana è l'unica che non ha bisogno di niente per essere speciale, se non di qualche odore. A questo va aggiunto una ricchezza e una diversità che solo mille anni di guerre, santi, poeti, cretini, dominazioni straniere e confini geografici impervi possono ricreare, e il gioco è fatto. Insomma, solo per scoprire tutto quello che c'è da mangiare in Italia, con tutta probabilità non basta una vita. Se a questo aggiungiamo tutto il resto del mondo, cominciate forse a capire il perché di tanta mia rabbia nei confronti dei tredicenni in fila per il big tasty, o ancora peggio del deficiente americano che viene a Firenze per mangiare pasta colle polpette di carne.
Quello che volevo cercare di trasmettervi con tutta questa filippica è quel poco di allegria che cucinare per qualche amico - o ancora meglio per una bella gnocca - mi dà. Dubito di esservi riuscito, ma magari recupererò quando verrete qui in via verdi 13 a provarla di persona. 
PS: forse era meglio se si parlava di fica. Però quella si rimanda a dopo l'esamone del 28, vai.

3 ottobre 2014

Di mulini a vento e formaggi

Quando alle 4 di mattina ti metti a fare lo stronzo con un americano che non sa una parola in italiano tranne bambini e pizza - che ripete senza sosta colla faccia soddisfatta di chi ha finalmente conseguito il secondo dottorato in filologia dantesca - un paio di domandine te le devi fare.
Per dirvela tutta non è stato l'unico episodio del genere in quest'ultimo mese. Prima c'è stato il cretino che, facendo lo splendido colla barista, ha impiegato 10 minuti per tirare giù uno shot. Poi la francese briaca pesta all'uscita dal locale che ha cominciato a menare calci e pugni biascicando "italliani di mmerd". Tralascio le mie reazioni perché, davvero, non ne vado fiero. Ad ogni minima perturbazione, il mio io-figlio di puttana prende il sopravvento.
Da una prima valutazione, credo di aver realizzato che questo è il mio modo di esprimere la mia nostalgia, per non chiamarla solitudine. C'è chi si deprime, chi scrive poesie e chi si sfoga sugli stranieri sbronzi. Io appartengo a un po' tutte e tre le categorie, ma è l'ultima versione quella più manifesta, indubbiamente. Mi sento come quel grullo di Don Chisciotte, tutto fiero a cavallo a combattere contro l'ignoranza dei turisti. E se avete un minimo di fiuto, dovreste aver capito che se lo scrivo, è per chiedere scusa.
Feste, aperitivi, concerti, ingressi in discoteca e persone, tante persone, hanno sinceramente perso molto del loro sapore. Mi piace fare il vecchio, fingere di non avere più l'età per fare certe cose, ma la verità è che semplicemente non erano questi i motivi per cui ho amato Firenze.
Mi manca la mia città. E per mia intendo quel pezzetto di duomo che è tornato in Brasile, le campane di S.Lorenzo andate in Spagna, i gradini di S.Spirito andati a cercar fortuna in Inghilterra e il naso del David strappato e portato via nella campagna. Cazzo, mi mancano già anche tutti i futuri cimeli di questi anni passati in strada con una Moretti in mano, che dovrò salutare nel giro di altri 2 mesi.
Firenze comincia sempre più ad assomigliare a Gardaland. I primi giri sulle giostre sono una figata, ma poi ti ritrovi a notare che il galeone dei pirati è di plastica e che la cartapesta dei sarcofagi è tutta marcita. Il punto è che io queste cose le ho sempre sentite fin troppo bene, ma che grazie agli altri che giocavano con me, non me ne fregava un cazzo.
In tutta sincerità, infine, gli attaccabrighe mi sono sempre sembrati dei gran cretini. Il mio pensiero in merito si può riassumere con: "Ma cosa ti metti a rompere il cazzo alla gente con tutte le fie che ci sono a giro?". Grande verità, se non fosse che adesso sono io quello che ora torna a casa colle palle girate e in solitaria.
La cosa che più mi fa sorridere è però come io sia diventato tra i più infiammati difensori della patria e della gastronomia nostrana. Mi sono scoperto in grado di parlare per ore di formaggi e di pomodori. Oramai il san marzano e la burrata hanno per me la stessa dignità della Venere del Botticelli o del Ponte dei Sospiri...insomma, sono passato dalla voglia di imparare qualcosa sul mondo, al bisogno di dimostrare quanto è bello quello che ho qui. Anche solo a leggerlo suona come un mantra ripetuto all'infinito sperando di riuscire a crederci davvero, no?
E' passato un anno da quando sono laureato, ed è stato con tutta probabilità il periodo più divertente della mia vita. Adesso però ho fame di qualcosa di nuovo, magari di fare il medico. Anche il salumiere non sarebbe tanto male a pensarci bene.


25 settembre 2014

Karma (e sangue freddo)



In questi giorni pieni di coinquilini nuovi, ma in fondo vuoti, tra libri e stanchezza, l'argomento Karma è uscito fuori più volte.
Vorrei poter dire fieramente che non ci credo a queste cagate...ma col mondo che ultimamente gira tutt'intorno alla mia stanza, con poche risate e distrazioni, il lato superstizioso ritorna fuori come un avvoltoio in attesa di una carogna. La mia.
La domanda che tutti ci poniamo - ossia che io mi pongo al posto vostro - è: ma che cosa ho fatto di male per dovermi rompere i coglioni tutti i giorni davanti al computer? Sia stata quella volta che non ho dato l'euro alla zingara? Maledette zingare. Sia stata quella volta che mi sono seduto impunemente al posto di un altro all'UCI cinema? No, dev'essere per forza il sorpasso alla cassa del Conad alla vecchina indecisa su quale fila fare...
Sto mentendo però...so esattamente cosa ho fatto. Circa un mese fa, in uno dei miei mille viaggi Trenitalia© FI-PT (preso al volo dopo una corsa contro il tempo e i turisti che intasano i marciapiedi) mi sono trovato a dover aiutare un'adorabile signora tedesca che non riusciva a tirare lo sciacquone nel bagno del treno. La signora indicava un bottone accanto al water - profumatissimo - a cui era stato letteralmente strappato via l'adesivo che indicava la sua funzione. Lo premetti, ma non accadde nulla. Notai dunque un altro tasto, dal lato opposto del gabinetto, anch'esso privo di alcun simbolo, e colto dall'illuminazione divina, lo premetti.

Un fischio assordante. Il treno che comincia a rallentare. Il cuore che accellera ad ogni lampeggìo della scritta SOS che minacciosamente era apparsa dopo il mio gesto. Avevo azionato l'allarme del treno. Avevo fatto una di quelle cose da vecchie barzellette sui carabinieri o da film di serie B anni '80.
Credo di essermi tirato addosso le infamate di almeno metà del treno (e gli accidenti di tutti gli altri).

L'unica cosa che mi consola è che, se le regole del karma sono universali, a quest'ora i maledetti che rubano pulsanti da Trenitalia staranno portando a casa la terza multa per divieto di sosta per lavaggio straordinario delle strade, presa per esser dovuti andare per la quarta volta alla lavanderia che ha perso le loro camicie firmate, che si erano sporcate perché si erano seduti su una panchina dove qualcuno aveva appiccicato una gomma da masticare...Confesso che stringerei volentieri la mano al bastardo in questione, se non fosse che il karma avrà qualcosa di macabro in serbo anche per lui.

Io comunque al karma in fondo in fondo non ci credo. Ai cornini napoletani sì. Quelli sì che funzionano invece...

15 settembre 2014

Il problema


Sono mesi che non pubblico niente e non ho intenzione di rompere il silenzio solo per tediarvi con i lamenti relativi alla mia sindrome d’abbandono; se avete un po’ di pazienza però leggerete anche qualcosa di personale.
L’umore non è dei più rosei ma non potrebbe essere altrimenti, a Settembre. Ho passato l’estate cercando di gustarmi fino in fondo le ultime birre incrociate con i compagni di Via Verdi, ognuno andato via per la sua strada…ma le birre forse erano troppe o troppo buone ed ho finito per divertirmi comunque - nonostante la tristezza degli addii. La stagione dei saluti iniziata a Maggio con le due Galiziane non si è ancora conclusa, ma il calendario dice che è già il momento di ricominciare ad andare avanti…e io continuo ad avere una paura matta di rimanere indietro. Due ottimi motivi per darsi da fare.
Firenze è ancora stupenda, nel vero senso della parola, e cioè sa sempre come stupirti e sorprenderti, ogni notte. Basta sapere dove guardare. Mi fanno sorridere le processioni di ragazzotte in vestitino che si accalcano fuori dal locale sotto casa, del tutto ignare di passare a fianco della casa del Buonarroti o davanti a una fontana del XV secolo. Ma Firenze è bella anche per questo: è un tesoro che scopri quando alzi lo sguardo per portare la bottiglia mezza vuota alle labbra e sei abbracciato dalle terrazze in pietra serena e dai soffitti affrescati che fanno capolino da dietro le persiane. No, la questione non è la città o il paese, la regione o lo stato: statue e colline non ti faranno sentire meno solo, ma quantomeno aiutano a sentirsi fortunato – il che non guasta mai.
Il problema di quelli come me è che passiamo la metà del tempo a cercare di capire chi siamo, a scoprire i nostri gusti, a decidere la nostra strada, il guardaroba o la macchina – in tre parole – a diventare diversi; mentre  l’altra metà della vita la passiamo a cercare qualcuno che ci somigli, che ci completi, che riempia quel buco che ci divide dal mondo e dagli altri e che noi stessi ogni giorno contribuiamo ad allargare. È un po’ come pretendere di guardare a destra e a sinistra a un tempo solo. Semplicemente non funziona.

Se ci penso bene credo che sia il problema un po’ di tutti.

21 luglio 2014

Andrea, oggi.

Possono le parole scritte decenni fa continuare a parlarti come se dette ieri? Un vecchio professore sosteneva che: "Un'opera d'arte è eterna e universale, perché non esaurisce il suo significato in ciò che il suo creatore intendeva, ma ne trova di nuovi ogni volta che qualcuno la osserva."
Beh, questa è la mia versione di Andrea.

Non sono le stagioni a cambiar colore,
ma gli occhi, che senz'occhi, di colori
non ha neanche senso parlare.
È la solita vecchia storia,
sempre vera, sempre uguale,
seppur non meno storta.
Andrea stamani non apre la porta.

Stanchezza che la notte non cura
mentre la imprigionano le coperte.
Solo una canzone la rassicura
e rende più dolci le compresse,
quelle che conciliano il sorriso.
Sarà perché dei sorrisi era stanca
che si lascia alle spalle il paradiso,
la famiglia e il conto in banca.
Andrea oggi non lascia la stanza.

Quel che resta è il ricordo dolce
di questa sfiorita primavera
adesso confusa tra le gocce.
Poco le importa di cos’era
che le aveva riempito il petto,
solo che ora si perde nel letto
così vuoto sotto la spalliera.
Andrea non cucina stasera.

Maltempo che ingolfa idee e pensieri
senza ricoprire la camera di pioggia.
Quanto si bagnerebbe volentieri
se bastasse a ritrovare la voglia.
La voglia di ripartire, senza lasciare,
ché non sono il luogo o la gente
ad averle insegnato ad odiare,
ma il niente che dappertutto sente.
Andrea forse non dorme stanotte.

Forse ha perso il treno,
se ce n’era uno davvero,
rimane ferma sui binari
con gli occhi abbagliati
come fanno gli animali
prima d’essere schiacciati.


17 luglio 2014

Via Verdi 13 - Numeri ed Infrastrutture

Arrivai a Firenze da esule, col cuore dall'altra parte dell'Europa e col prurito continuo di voler andare altrove.
Il primo appartamento che mi ospitò si trovava in via Pietro della Valle, a due passi da Careggi. La camera era spaziosa, l'affitto abbordabile, avevo un lettone matrimoniale, una bella scrivania di mogano e pochissima voglia di studiare, di andare in Ospedale, di chiedere una tesi e ancora meno di finire gli studi. Mi affacciavo alla finestra scomparendo nel grigio di via Mariti. Traffico, sirene, asfalto e palazzoni tutt'attorno, che come vespai inghiottiscono i condomini nascondendoli li uni agli altri.
Poi qualcosa cambiò.
Era un pomeriggio di inizio estate quando io e Marco - il - Conte vedemmo l'annuncio di un appartamento sfitto nel pieno centro storico. Affitto basso, numero di camere alto, due bagni e un sogno ad occhi aperti fatto di feste improbabili e avventure a luci rosse. Sborsata la caparra, cominciammo la selezione dei nuovi inquilini. Quel che successo dopo beh..."ti prego Biagio, non lo scrivere su internet".


Statistiche semi-serie
Si può affermare senza grandi approssimazioni che dal Settembre 2012 a oggi, sono passate per Via Verdi 13 più di 500 persone - perlopiù giovani e assetate, provenienti da oltre 25 nazioni (tra cui Italia, Brasile, Svizzera, Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Polonia, Estonia, Lituania, Russia, Ucraina, Repubblica Ceca, Grecia, Turchia, Israele, Finlandia, Svezia, Stati Uniti, Cuba, Messico, Venezuela, Marocco, Camerun e India).
 Nei 6 posti letto nominali (drammaticamente espandibili a 14 considerando materassi gonfiabili, divani letto, brandine, tappeti e vasca da bagno) hanno trovato riposo poco meno di un centinaio di individui, tra parenti, amici, amici di parenti, amici di amici, donne occasionali o meno, couch-surfers, imbucati, sconosciuti e killer seriali. Sono state organizzate un trentina di cene - con un record
di 21 invitati (nonostante i limiti oggettivi delle 12 seggioline IKEA e di un servito da 10 piatti sfusi rubacchiati qua e là), 4 festone ufficiali e svariate invasioni di casa nel cuore della notte (o della cena) da parte di amici spersi nel dedalo di vicoli fiorentini. Il numero massimo di partecipanti ad un evento è stato di 150 circa, in occasione della festa di compleanno di Bia, Luca e della laurea di Biagio.
Gli inquilini ufficiali dell'appartamento sono stati 8, cui si aggiungono gli special guest estivi, tra cui Marina la greca, Ula la polacca fuggita d'Egitto e due avvenenti turche, per assonanza rinominate Indesit ed Iveco.

Miscellanea di cazzate
Via Verdi 13 vanta 5 inquilini in carne e ossa e una di legno di nome Manuela (convertibile al bisogno in albero di natale). È buona norma, in casa, sostenere il riciclaggio: la quasi totalità dell'arredamento è stata, per così dire, trovata, compreso un armadio, una poltrona a fiori, un espositore della Conad, una magnum di chianti, la mitica Necchi - macchina da cucire vintage anni '60 - un tagliere da 4 chili e un'intera fermata dell'autobus. La luminaria di casa è stata realizzata con impianti di segnalazione per lavori in corso stradali - ciò non ha provocato, ad oggi, alcun incidente fatale.
VV13 ha una propria pagina facebook dedicata alla divulgazione delle più utili informazioni inerenti i grandi problemi della società contemporanea, quali l'annosa questione su quanti peperoncini calabresi ci vogliono per far piangere un brasiliano o su quale sia l'imprecazione migliore per ottimizzare l'operazione di montaggio di un letto IKEA.
Il motto dell'appartamento, lapidariamente inciso su una lastra di metallo (e ornato con pure mutandine cubane al 50%) è AMICI MIEI, QUI SI TROMBA. Ovviamente tale avviso va inteso nel senso più musicale che riuscite a immaginare.
Molte sono le affiliazioni di VV13: il Party Bene, staff multicolor che ha riempito locali per Firenze tutto l'anno, grazie all'infinita passione di Rosario Likes a Sun e alla barbetta di Leo Bongianni DJ; gli Whoopie Hookers, di Giggi, Ciruo', Davide e Pietro, gruppone rock affermato; L'alimentari AM - PM di Sanjeev Kumar, il dolce commerciante di quartiere - e fornitore di buona parte degli ettolitri di alcol necessari alla sopravvivenza degli inquilini - che più volte ha partecipato alle cene di casa e il Gustami Kebab di Ali Moon, dove tutte le serate cominciano e finiscono.
Sponsor, nonché mascotte ufficiale dell'appartamento è il grande Riccardino Scamarcio, che salutiamo. Qui trovate la storia del nostro fugace ma intenso incontro.



Popolazione
Considerare come abitanti di Via Verdi 13 i soli paganti il canone di affitto, sarebbe oltremodo limitante. La lista di coloro che vivono le 4 pareti della casa, va in effetti estesa a coloro che hanno partecipato attivamente alle attività ludico-ginnico-gastronomiche settimanalmente tenute nell'abitazione, andando quindi a comprendere una stretta cerchia di amici degli inquilini e qualche Erasmus che ogni anno finisce per accasarsi presso gli stessi.
In primis va citato il gruppo storico degli omacci: Ciccio, Cipo, Ciaccia, Giggi, Guardu e Biagio. 6 pseudonimi, che nascondono altrettante teste di cazzo senza bisogno di alcuna altra presentazione.
Un posto d'onore va quindi riservato a Bia, o meglio Beatriz de Oliveira Alcantara Gomes, il cui nome tradisce un lignaggio antico, che richiama i conquistadores europei. Al contrario degli avi però, è stata la piccola Bia ad essere educata al civilizzato mondo moderno, svelando un naturale talento per i costumi della buona società fiorentina fatta di aperitivi superalcolici e compiaciuto ozio sul divano a scoprire i capolavori della cinematografia internazionale. Notevole la sua dedizione alle 12 ore di sonno - minime - che ha mostrato durante tutto l'arco della sua sfiancante avventura italiana. La migliore.
Non possiamo poi dimenticare la platinata Jessica e il suo smisurato cane Rolly. I volvoli di pelo volante che hanno abitato gli altrimenti lindi corridoi dell'appartamento, hanno donato alla casa quell'effetto villaggio fantasma western che tanto va di moda oggi. In una recente intervista, circa le abitudini culinarie di Jessica, rilasciata dagli attuali inquilini di VV13 hanno commentato:"Non ci piace".
Viene quindi il turno di uno dei primi veri uomini di casa, il già citato Marco - Il - Conte. Fino a quando non lasciò la casa alla volta dell'Est Europa (dove voci infondate affermano la sua affiliazione alla Chiesa Ortodossa Catto-Comunista della Seconda Rivelazione di S.Nicolaus - in cui rivestirebbe il ruolo di arcivescovo) Marco ha abitato ininterrottamente il divano di casa dalle ore 14.00 (orario della sveglia) fino alle ore 02.00 di ogni giorno, imbracciando il computer e svelando i complotti orditi da una stampa troppo asservilita ai poteri forti e corrotta. Memorabili i suoi dialoghi col televisore durante Ballarò: "Punto primo, mio padre è carrozziere..." forte di questa indiscutibile verità ha affondato colpi tremendi agli ospiti della tramissione, che per loro fortuna non potevano sentirlo.



Lorenzo - la manita - Borchi, Flavio - la voix - Di Lella e Davide - la mente - D'Errico insieme formano il favoloso trio acustico (e autistico) Put Your Money, attivo sulle vie fiorentine da anni ormai. Ebbene sì, i tre celebri musicisti sono parte integrante del sottobosco urbano che circonda Via Verdi 13, e proprio all'ombra del palazzo, in piazza Salvemini, il gruppo ha raggiunto la grande fama internazionale a forza di concerti in strada e di bottiglie di acqua riempite di Tequila. Intramontabili.
Menzione d'onore agli studenti esteri, in particolar modo alla bandaccia di francesi capitanate da Coline, alla dolce Caroline e i suoi coinquilini, a Eva Newman e alle indimenticabili spagnole di Lugo, Natalia e Albis. Se ci aveste dato un euro per ogni bevuta che avete scroccato, adesso avremmo un condizionatore vero in casa (e non i ventagli di carta fatti a mano da Ciccio colle copertine semi-rigide di "L'arte della Muratura oggi" edizione Del Prado). Ci mancate.
Infine ricordiamo Susanna e le sue amiche, promesse in sposa ad ognuno degli uomini di Via Verdi, senza che mai in effetti si presentassero. Non pervenute.


Testamento
Si chiude così la stagione fiorentina. Ci siamo divertiti tanto. Adesso arriva il momento degli addii, che già da un pezzo aleggia tra una birra e un filmato idiota di youtube. Abbiamo già rimpiazzato il 90% degli inquilini e in men che non si dica torneranno nuove risate ad abitare la cucina col suo tavolone in abete. Eppure, sinceramente, non ho voglia di cominciare tutto da capo. Non so come dirlo senza passare per un frocino smielato, ma mi mancherete, tanto.

14 luglio 2014

Let Me Entertain You

Mi piace pensare che scrivere qualcosa sul blog serva a qualcosa.
Sostanzialmente a riempire quel grigiume insulso che dilaga su facebook o su uno qualsiasi dei mille altri social, così come su ognuno dei mille canali televisivi. Abbiamo tutti bisogno di svago. Mille canali tematici, mille ricette di cucina, mille cartoni animati, mille reality, mille tv contest. Maratone di film a tema, maratone di serie nuove e vintage, maratone della pimpa, di paperissima, di bim bum bam, della prova del cuoco. Storditi da un palinsesto così ricco, accendiamo il computer o il tablet, il cellulare, lo smart-watch e lo smart-frigo per scoprire cosa ha scritto quella mezza topa che una sera hai conosciuto alla festa di chi non ricordi, scoprendo che va a Cecina con altre quattro mezzi busti dalle labbra arricciate e 50 mi piace per gamba. Il tuo ex vicino di casa ha scoperto grazie a un test che se fosse un animale mitologico sarebbe un ippogrifo cornuto del Guatemala, mentre una brunetta che probabilmente non hai mai visto dal vivo – ma che occupa la tua bacheca da così tanti di anni da essere praticamente di famiglia – ha postato un articolo che riporta le 10 foto che ti cambieranno la vita, o forse erano le 13 foto più irresistibili del secolo, o i 15 gatti più grassi del mondo, i 23 nani più simpatici di Hollywood, le 45 migliori parodie di film sul baseball del triennio 95-97 o i 17 tonni pinne gialli più grossi tagliati con un grissino.
Tutto molto illuminante.
La montagna di grigiume si accresce, comincia a coprire e quindi a inghiottire quelle 3 informazioni che ancora ti strappano un sorriso o un pensiero. Siamo tutti vittime e carnefici in questo giochino, seppure quasi del tutto incoscienti...ma lo scopo di queste mie righe non è quello di fare la morale a qualcuno, né di tediarvi ulteriormente. Voglio solo distrarvi, appunto.
Anche io mi trovo spesso a ingrigire davanti allo schermo, scaricando la responsabilità della mia noia sul niente di cui tutti ci nutriamo e alimentiamo. Ogni tanto me ne scordo però, e colto da una spinta inspiegabilmente positiva, cerco di condividere qualcosa di mio, senza avere la pretesa che sia degno del mi piace altrui, ma cercando di dare agli altri quello che io cerco dalla rete. In questa chiave il racconto del Nuti vorrebbe essere il tentativo di raccontare episodi e fantasie dei mie ultimi due anni passati in centro a Firenze, senza compromettere eccessivamente chi li ha vissuti veramente – me compreso.
Eppure la voglia va e viene. Vi confesso che ogni volta che mi sento dire “Hai scritto un nuovo post! L’ho letto quasi tutto, ma era così lungo!” perdo un ulteriore granello di fiducia nella mia generazione. Poi mi ricordo che nessuno di noi si considera parte di questa generazione e non so neanche più con chi prendermela. Allora mi viene da chiedermi se il problema sta in quello che scrivo, o meglio nel come lo scrivo. Tutti abbiamo bisogno di svago. Dovrei solo cercare di strappare una risata, usando parole semplici, immagini abbaglianti e soprattutto non usando più di mezza pagina. Forse sì. Anche perché non posso negare che ogni vostra nuova visualizzazione mi regala una discreta soddisfazione.
Eppure non è per questo che scrivo. Voglio distrarvi, ma soprattutto sono io che voglio distrarmi. E a me piace usare questo spazio per liberarmi dal grigiume che riempe le ore in cui non lavoro, non rido, non mi sbronzo o non faccio tutto il resto. Vorrei essere bravo a portarvi con me in questo giro di pensieri, e sinceramente mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, bene o male che sia.


Ho già usato troppe righe e la maggior parte di voi si è già perso qualche capoverso più in su. Beh, è davvero arrivato il momento di condividere qualcosa di mio.
Non tutti i grigi sono uguali. C’è una noia speciale, che si chiama malinconia, in cui spiriti lascivi e un po’ romantici adorano sguazzare seppur senza ottenere alcun risultato tangibile. Uno di questi grigi lo trovate tutto chiuso in una certa musica dal sapore tipicamente stonato e sgraziatamente rilassato. Quella che oggi vi regalo è la lista delle 10 canzoni delle allegre giornate piovose.
1) Fake Empire– The National

1 luglio 2014

Il Nuti - seconda parte

Sfrecciavo, ricordo, sul pavé bagnato dalla pioggia, scartando ora biciclette e ora valigie trascinate da turisti scornacchiati dal mal tempo. Mi hanno sempre fatto tenerezza gli stranieri che visitano la città durante la stagione invernale. Chissà quanta delusione nel trovare il Bel Paese tutto ammantato dal grigiore bagnaticcio e gelido di Febbraio. Gli immancabili shorts e berrettini tradiscono l'attesa di ben altro clima all'ombra del Palazzo Vecchio, mentre il loro sfoggio dimostra una notevole coerenza alle loro idee (nonché un'indubbia resistenza al freddo). Le loro cosciotte bianche e rosa, nude sotto le sferzate del vento crudele che gira attorno al duomo, mi riportavano sempre alla mente quel vecchio film di Totò, in cui lui e Peppino giungono a Milano rivestiti di pelliccia da capo ai piedi in piena estate, perché "A Milano fa freddo". A Firenze quella mattina faceva freddo davvero però.


Lanciatissimo nei miei vicoli medievali, davo degna dimostrazione del perché gli scooter siano il vero sangue pulsante che agita le arterie della città fiorita: una serpentina a 50 all'ora tra specchietti e passanti, che solo decenni in sella infischiandone di semafori rossi e piogge di insulti insegnano a disegnare. Sapete, si dice che ogni mezz'ora a Firenze avvenga un incidente che coinvolge un motorino...ed evidentemente l'orologio del destino quel giorno stava per segnare colle sue lancette invisibili il minuto che portava il mio nome impresso sopra.
La vidi sbucare fuori dal nulla, anche se proprio nulla non era: sul marciapiede a lato della strada c'era un furgone parcheggiato, che il conduttore aveva pensato bene di abbandonare lì, col portellone posteriore aperto, per andare a fare chissà quale lavoretto in chissà quale palazzo là attorno. Lei veniva da dietro il Ducato e come fece un passo verso il centro della strada, senza curarsi minimamente di guardare verso l'unica direzione di marcia della carreggiata - la mia - me la trovai proprio davanti, a meno di tre metri dalla ruota anteriore. Con un riflesso fulmineo e un mezzo infarto, riuscii a deviare lo sterzo quel tanto che bastava per non metterla letteralmente sotto, ma non abbastanza da evitare di urtarla col portapacchi, perdendo del tutto un equilibrio già reso precario dalla pietra umida e della frenata.

La scivolata del Liberty fu arrestata bruscamente dallo scalino del marciapiede che arginava il rivolo di acqua e pietrisco che scorreva sul vicolo, mentre io, privo di ogni ostacolo, schizzai via libero dalla legge di gravità. Un volo d'angelo. Anche se al posto delle candide piume fu il giaccone catarifrangente delle Poste a librarsi in aria per qualche istante. Vidi la grondaia scura avvicinarsi a velocità supersonica al mio sfortunato naso. Sfortunato sì, perché da bravo cazzone qual'ero, anziché l'omologatissimo casco in dotazione, ho sempre indossato un padellino logoro, memore dei bei tempi delle medie nonché privo di visiera o di qualsiasi altra protezione si potesse interporre tra il mio grugno e il tubo metallico. Sbam. Degno erede della scuola orafa fiorentina del Ghiberti e di Donatello, scolpii il mio profilo nel rame sottile. Un istante che ha lasciato il segno.

Credo di essere svenuto o di avere avuto un'allucinazione, non so. A onor di cronaca devo dire che questo episodio l'ho raccontato così tante volte da non saperne più distinguere il ricordo dai dettagli di cui si è arricchito tra una narrazione e l'altra. Per me fu come trovarsi in un video musicale: saranno stati gli anni trascorsi per strada con le cuffie perennemente piantate nelle orecchie, circondato da un muro di suoni che mi conciliava col traffico, coi turisti e coi bus; saranno stati gli anni sprecati davanti al televisore a guardare Mtv (quando ancora la M stava per Music e non per Merda), cantando testi di cui non capivo assolutamente nulla; sarà stata la più che probabile commozione cerebrale legata al trauma cranico...eppure tutto cominciò a muoversi sulle note che ancora sussurravano dagli auricolari, magicamente non sfuggiti alla presa delle mie orecchie, nonostante il colpo. Liberissimi di non crederci, però chiudete gli occhi e provate a immaginare.

Seguendo note come dita leggere che si sollevano dal marciapiede su per ciclamini appesi alle ringhiere, ti infili sotto le tende e le lenzuola, assieme ai brividi che due amanti soffocano in gola. Al piano sotto una ragazza si sente sola, con la valigia ancora da disfare. Gira e gira coi piedi nudi sulla moquette rivestita di cd brasiliani. Doveva ritornare, finire gli studi e costruirsi un futuro. Lei però vuole rivederlo: fanculo il domani. Dalla finestra un tizio in cravatta sbatte lo sportello e il cellulare, col cuore che romba in mezzo al traffico del viale. Dietro la scia di una bicicletta si ritrova su un argine qualche anno prima, a rincorrere lucertole che si nascondono nelle mura del piccolo cimitero. Una vecchia china sulla pietra serena stringe due fedi al petto, quando per un istante le campane le ricolorano il capo di nero, e di bianco il corsetto. Alla preghiera si succede il ricordo della promessa già mantenuta, ma ancora non meno vera. Poco più in là ci sono un bimbo biondo e i suoi ciuffi d'oro confusi a fili d'erba spessa. Osserva con invidia il gioco delle nuvole e tiene il ritmo con i sandali mentre si perde dietro a un battito di ali nell'azzurro. Da lassù la terra si allontana, un amico dice addio dal finestrino dell'aereo. Chiude gli occhi ed è ancora in piazza colla bottiglia fredda e la risata calda, giocando a fare il musicista. Poco più in là sono io, ancora per terra sotto il giaccone, e lei vicino a me nella medesima posizione.

Io non so per quale cazzo di motivo lei si trovasse in quella strada, né quale urgenza avesse condotto lì il furgone col suo autista, né perché proprio in quel momento dovesse giungere anche un bus ad unirsi al caos del momento...ma uno ci doveva essere per forza.
Vedete, con la canzone giusta, sembra di poter agire fuori dal tempo che scorre nonostante gli impegni più o meno inutili di ogni giorno. Capita che riesci a intravedere quel filo che lega i momenti e le persone, gli uni alle altre, se non addirittura a seguirlo e a intuirne il finale. Poi però succede sempre che la sveglia o la mamma, il fratello, la multa, l'amica, l'esame, il cellulare, la televisione, la macchina, il pedone, la sirena...ti abbassano il volume. Devi per tornare ad affrontare i problemi che non puoi fare a meno di ignorare, come un incidente, per esempio.
Mi svegliai. Lei era un mucchietto di ossa, peraltro mal conciata coi suoi jeans a vita alta strappati e sanguinolenti, i capelli bagnati di pioggia e la camicetta sdrucita con sopra quello che poteva essere il nome di qualche marchio straniero, illeggibile. Quel poco delle braccia che si intravedeva da sotto il giacchino, tradiva una magrezza eccessiva, ma non sgradevole, a suo modo. La sua figura era esile ma necessaria, di quelle che non puoi neppure immaginare con qualche curva o un paio di grammi in più. Il volto coperto da una cascata di crini castani e stravolti, scuoteva appena in su e in giù, come singhiozzando. Sono sempre stato tenero, colle donne. Mi avvicinai come per abbracciarla, perso nella musica della pioggia che versava lacrime dolci sulla scena, coprendo ogni altro rumore.

"MA CHE CAZZO FAI? IMBECILLE." Mi si parò davanti il suo muso rosso, sottile e sconvolto da una rabbia animalesca, tipo quella di un cinghiale mamma a cui hai toccato i cuccioli. Che esempio del cazzo. Rende l'idea però.
Fu così che Eva entrò nella mia vita, avviandola alla sua distruzione.



21 giugno 2014

Il Nuti - prima parte.

La mia storia comincia male, galleggiando a testa all'ingiù con ancora addosso la giacchina di velluto liscio, i jeans attillati e gli immancabili stivaletti neri. Proprio come in quel vecchio film - mi sembra si chiamasse Sunset Boulevard - il protagonista muore ancora prima di poterlo conoscere. Qui però non siamo a Hollywood e invece di ondeggiare serenamente in piscina, mi trovo a sguazzare coi calzini zuppi di quella brodaglia limacciosa che riempe l'Arno in piena estate.Tutto sommato poteva anche andarmi peggio, io ho sempre amato questa città. E a pensarci bene non avrei potuto trovare abbigliamento migliore per l'occasione.
Il Nuti muore come ha sempre vissuto, galleggiando. L'unica nota dolente è questa sirena che non la smette di gridare: ero sicuro che quando uno moriva, sentisse la nona di Beethoven o roba del genere...almeno un Hallelujah di Jeff Buckley pensavo di meritarmela.


Ma bando alle ciance, mi presento: sono Italo Nuti, 28 anni, avvinazzato per vocazione e postino per necessità. Sono pochi i traguardi che ho raggiunto in questa mia breve esistenza, tra questi il più sofferto di sicuro è stata la laurea in architettura.
In estrema sintesi, della vita mi piacevano le donne, e anche parecchio. Adoravo sbirciare il sorriso che fanno dopo un bacio, spiarle la mattina quando si alzano dal letto per andare in bagno senza trucco e, soprattutto, scoprirne i suoni segreti dei loro momenti di allegria più sincera. Non prendetemi per un maniaco o chissà che...io almeno, non mi ci sono mai sentito. Diciamo che se l'amore è un'enorme labirinto pieno di porte chiuse, la mia perversione stava nello scoprire cosa si nascondeva dietro ognuna di esse anziché affannarsi a trovare quella che portava all'uscita. La curiosità sarà anche un vizio diabolico, ma credetemi, qui dove sono adesso non ci sono né fuoco né diavoli.
Credo che possiate intuire che se mi trovo a far compagnia a pantegane e pesci, c'è di mezzo una donna. Anche se donna, quando riferito a lei, suona veramente male. Non pensate alla vendetta di un'amante geloso o a un gesto disperato; la mia dipartita da questo mondo è avvenuta in circostanze tutt'altro che normali; forse è per questo che sono ancora qui a raccontarvelo.

Ma ricominciamo dall'inizio: una gelida mattina di sei mesi fa, l'8 Febbraio 2011. All'epoca, le mie giornate scorrevano bagnate e tranquille, sempre in sella al Liberty battente bandiera delle Poste Italiane, col casco slacciato e le cuffie negli orecchi. Forse vi chiederete perché un architetto debba passare le sue giornate a suonare campanelli e a riempire le cassette di lettere e opuscoli colorati. Pigrizia? Mancanza di pecunia? Passione filatelica? beh un po' di tutt'e tre, a cui però si dovrebbe aggiungere la completa assenza di ambizione e una spensierata rassegnazione a quello che il destino offre. Ovviamente, il mio sogno da piccolo non era quello di fare il portalettere, ma a dire il vero non era neppure quello di progettare villine a schiera o rivalutare vecchi edifici industriali in malora. Avevo bisogno di soldi e adoro le due ruote, credo che l'inizio della mia carriera possa essere raccontata così. Fare il postino, comunque, presentava lati positivi insospettabili.
Quella mattina in particolare consegnavo la posta in Borgo S.Frediano, nel cuore della fiorentinità più genuina. Il giro cominciava come sempre dal ponte alla Carraia, giù per il Lungarno Soderini passando poi per il Cestello e per la titanica porta delle mura, e quindi via nel dedalo di vicoli che si snodano a sud fino a Piazza Tasso; da qui continuava a est, sfiorando il Giardino Torrigiani col suo torrino, arrivando in Piazza del Carmine coi suoi sampietrini disconnessi, per finire quindi in via dei Serragli a chiudere il cerchio. Oltre le amenità architettoniche, il giro riservava altre piacevoli distrazioni dai compiti strettamente legati alla nobile arte postale. Dovevo fare visita alla sig.rina Bianchini di via dell'Orto, che aveva ricevuto l'ennesima raccomandata urgentissima; poi alla vedova Palmucci di Piazza dei Nerli, che mi aveva telefonato perché ritirassi alcune lettere che preferiva consegnare di persona invece di affidarle ad una cassetta incustodita. La vera chicca era però la cartolina autografa della figlia dell'esimio Dott. Plini, che la ragazza si era assicurata di farmi pervenire a casa, che riportava una dettagliata descrizione dell'orario di lavoro del padre assieme ad altre utili raccomandazioni. Insomma, la giornata si prometteva indubbiamente faticosa, ma la cosa non mi spaventava.
Nei due anni di lavoro ero riuscito a costruirmi una buona reputazione, nonché un discreto giro di clienti affezionate e care, che per nulla al mondo mi sarei sognato di lasciare insoddisfatte o senza posta. Abituato a girare di casa in casa, avevo imparato che con un sorriso sincero, un pizzico di simpatia e un orecchio pronto ad ascoltare chi si sente solo, trascurato o dimenticato, si finisce quasi sempre per scoprire il lato migliore delle persone...il che si misurava in caffè offerti, grappini, sigarette, cioccolata, dolci fatti in casa, avanzi dell'arrosto o del fagiano ripieno e, talvolta, in quel calore di cui tanto si sente la mancanza nelle piovose mattinate invernali. Come le lettere che non finivo mai di consegnare, anche le chiacchiere giravano di uscio in uscio, e capitava di tanto in tanto che qualche nuova utente incuriosita, volesse testare di persona la bontà del servizio di ritiro domiciliare della corrispondenza.
Silvia, che lavorava all'ufficio postale n°13, ormai non si stupiva più delle telefonate indiscrete che di quando in quando investigavano i turni di lavoro o il numero di cellulare del giovane postino, ed era solita preparare i miei faldoni delle lettere con accurata dovizia. Io in cambio la portavo al cinema di tanto in tanto, non che la cosa mi pesasse. C'era una simpatia naturale nascosta tra le sue trecce bionde e il suo sguardo appena strabico, rideva sempre alle mie battute e aveva una piccola voglia sulla coscia destra che sembrava un impronta di gatto. La confidenza tra noi due nacque quasi subito. Ma mi sto perdendo come sempre nelle chiacchiere, e la voglia di Silvia ha poco a che fare con la mia triste storia.

10 giugno 2014

I Diari di Geriatria: Giorno 2 - Divorato dalla noia

6 Giugno

Eccomi al secondo (e ultimo) giorno di congresso geriatrico-pistoiese. Stessa poltrona sugli spalti, meno teste che spuntano in file ordinate sotto, sul campetto da pallavolo convertito per l'occasione in auditorium. Il primo simposio è LE PROFESSIONI SOCIO-SANITARIE: la professione dell'infermiere in Centro Diurno. Oggi parliamo di noia. La scelta del tema è scontata forse, ma non meno sentita.



Per leopardiana ammissione, la noia ci distingue dagli animali - che ne sono privi - ponendoci in una posizione assai più scomoda di polli e conigli. Ma come sarebbe bello starsene tutto il giorno sdraiati a grattarsi i coglioni e a mangiare! In effetti questa è l'occupazione principale di Jasmine, il mio pastore tedesco - esclusa la parte dei coglioni. Cosa non darei per mollare tutto e andare a vivere ai Caraibi, facendo surf dalla mattina alla sera. Aldilà della più o meno credibile passione che uno può provare verso il saltare su una tavola per 10 secondi (massimo) prima di finire a testa all'ingiù nell'oceano...non è un po' pochino per campare? 
Badate, non siamo qui a mettere in discussione l'istituzione del sogno a occhi aperti, fondamentale, specie mentre uno sgobba come un negro. Cosce abbronzate da cospargere di olio di cocco, bevendo cocktail cogli ombrellini colorati specchiandosi nelle acque cristalline di chissà quale isolotto tropicale, sono boccate di ossigeno durante le giornate di lavoro, studio e lezioni - quali L’assistente sociale nella rete dei servizi per la demenza tra emergenze sociali e complessità sanitaria. Ma, sinceramente, augurarsi una vita fatta di solo relax è frutto di eccessiva superficialità. 
Sarà che io al mare non so stare fermo un minuto, così come a letto, a colazione, sul tram, in fila al supermercato o al bar, durante una foto o una risonanza magnetica...ma nessuno mi leva dalla testa che anche la più fanatica patita dell'abbronzatura perfetta non resiste un anno a farsi foto a quelle gambine lisce distese al sole tutti i giorni. 

Il bisogno di relax nasce essenzialmente dall'incontrovertibile legge del voglio quello che non ho. Torniamo quindi dritti dritti al discorso di ieri: vivere è sentire la mancanza. La noia, viceversa, nasce dalla completezza, dalla sazietà. Ho l'impressione che molte persone non abbiano chiara quest'ovvietà, pensando alla noia come a mancanza di qualsivoglia cosa da fare...quando invece il problema è che perpetuano la loro quotidianità religiosamente, sognando nel frattempo il fine-settimana, l'estate o l'amore. I quattrini ci vogliono e lavorare è necessario, tutti d'accordo. Non tutti possiamo essere esploratori dei fondali oceanici o pornostar, ok. Ma la noia la proviamo tutti, e ci assale solo quando recitiamo da troppo tempo la stessa parte. Quanto sia questo troppo tempo è difficile da dire. Ci sono persone che sopportano meglio la noia - come tacchini e capre - e ci sono individui che ne sono totalmente allergici. Quale dei due estremi sia destinato a maggiore infelicità, non è oggi argomento di discussione.
Il lato più odioso della faccenda è che come un manto scuro che cala sulla finestra, la noia risucchia ogni altro desiderio di luce, lasciandoci in balia della più pericolosa delle compagnie: la gente - che per definizione è annoiata e sola. Sembra una cazzata, ma è così che nascono i grandi mali del mondo, come i regimi dittatoriali, il grande fratello e Maurizio Costanzo. Per inciso, distrarsi dalla propria giornata guardando altri coglioni che passano le giornate ha del perverso.

Torniamo alla noia però, che sennò mi perdo nei miei deliri anti-consumistici e misantropici. La noia è sazietà, si diceva. Non ci voleva certo Steve Jobs per capire la verità di "Stay Hungry. Stay Foolish". Così come non basterà la sua morte perché queste quattro parole non rimangano semplici decori su t-shirt già passate di moda. Basta via, la smetto.
Come si fa a non diventare sazi? Una soluzione è quella dell'ambizione, e cioè la seconda grande catastrofe che affligge il mondo. Boom. Il Grande Obbiettivo. Boom. Il Matrimonio. Boom. Diventare Astrofisico nucleare-Ingegnere Spaziale-Medico-Avvocato-Cavaliere del Santo Graal. Boom. Fare i Soldi. Booooooom.
Tutti persi a rincorrere orizzonti che non si avvicinano mai, sacrificando tutto, anche i capelli. Anche questo mi ricorda molto altri animali, le formiche in particolare. Anche se rimane da capire chi è che fa la parte della regina, in questo formicaio di cazzate che ho appena scritto. No, davvero, è facile perdere tutto nella gara a chi è disposto a dare di più. E anche qui c'è un risvolto macabro, e cioè il "cosa succede quando finalmente raggiungi la meta?" 

Nella stesura originale del post c'era qui una lunga digressione su una delle miei immagini poetiche preferite: l'Ulisse di Dante. Sapete quello di fatti non foste a viver come bruti ma a seguir virtute e canoscenza... Quello che dopo aver combattuto un decennio a Troia, girato i sette mari per altrettanto tempo, sconfiggendo ciclopi, mostri marini, sirene e trombato Nausicaa, Calipso e Circe, finalmente torna da quella poverina di Penelope. Qui stermina tutti gli spasimanti della moglie - che ci provavano da almeno dieci anni, e che quindi qualche diritto di stare a Itaca secondo me ce l'avevano - e si stabilisce come re. Finché poi non finisce coll'annoiarsi della dolcezza del figlio, della pietà del padre e dell'amore della consorte e riparte per scoprire dove finiva il mondo, col finale che tutti conosciamo. Arrivato a scriverlo a casa, però mi sembrava più efficace questo video qui.


Ed è proprio così che va. Non c'è cosa abbastanza bella da non potersene annoiare. Vittoria compresa.
Essere felici è assai più facile che il rimanerlo. Per metterla sul filosofico, l'uomo più felice della terra è quello che non ha niente, che ha tutto da guadagnare e che non vedrà mai sciogliersi tra le dita le sue grandi conquiste in una pozza di banale quotidianità. Per metterla sul terra terra, lavorare, possibilmente divertendosi e smettere di dare biblica importanza a lauree, matrimoni, figli e mondiali di calcio. Qualcosa di buono ne viene fuori di sicuro.

E adesso sorgono spontanee le ultime domande. Qualcuno vorrebbe passare il tempo con me? Do io qualcosa agli altri per non essere noioso? È possibile che io sia sempre interessante per qualcuno? Direi che la risposta alle questione non può che essere cazzo, no. Il che va inteso in chiave del bisogno continuo di cambiare, che non coincide per forza di cose col migliorare. Dallo stesso bisogno di non annoiarsi, deve nascere il desiderio di non essere noiosi, e specie ai nostri stessi occhi. Inutile dire che se lo scrivo qui è perché evidentemente è così che mi sento. Ragion per cui nel prossimo post vi racconterò un po' delle stronzate collezionate in questi mesi; e che adesso, complice il momento di bonaccia di Firenze e dei suoi abitanti, si stanno via via rarefacendo.

Adesso vi saluto girandovi a voi la domanda. Com'è che pretendete di non annoiarvi se passate la metà del tempo a lamentarvi della vostra giornata o della città, della vostra donna o di tutte in generale, dello stato e della politica, dei locali e del tempo...e l'altra metà continuando a fare sempre le stesse cose?

8 giugno 2014

I diari di geriatria: Giorno 1 - Le lacrime di coccodrillo

5 Giugno 2014

Eccomi qui, appollaiato in poltrona sugli spalti centrali dell'Auditorium di Pistoia, a fingere di prendere appunti durante l'ennesimo congresso di geriatria. Blocco e penna omaggio sono un'occasione immancabile alla divagazione.



Il Dott. Francesco Biagini oggi veste mocassini di cuoio marroni, pantaloni a tubo beige e camicia azzurra a trama geometrica (Se l'eccessivo sfoggio d'eleganza vi stupisce, tenete di conto che il presidente ed organizzatore del congresso è il Dott. Padre, e la cosa mi turba, alquanto). Ho malditesta, sono ancora disidratato, credo. Ieri notte, al concerto dei la Femme, il Biagio vestiva stivaletti di pelle chiara alla caviglia,  chinos gessati, t-shirt amaranto, gilet di cotone scuro e l'immancabile fedora nero...almeno finchè l'ora e mezza di pogo incessante non ha trasformato il gilet in un asciugamano di fortuna e la maglietta in mezzo metro di allegria apppiccicaticcia. Due immagini del come, tutto sommato, io sia un po' fuori luogo ovunque.

"È una fase di passaggio" "Si tratta di un momento di cambiamento" eccetera, eccetera eccetera...Ma quando mai non lo è stato? Credo che la differenza sostanziale di questi giorni rispetto ai mesi - o agli anni - precedenti è che mentre io muto pelle come i serpenti, l'ambiente che mi circonda sembra non fare altrettanto. Ho un'idea abbastanza precisa di cosa sia l'intelligenza, e questa sta nel sapersi adeguare a quello che ci circonda o, ancora meglio, nell'adattare il nostro mondo a quello che vogliamo. Ed eccoci quindi al punto della riflessione: cosa voglio? Risposta secca: niente. Postilla: mi sento un coglione.

Citando un intramontabile testo della letteratura internazionale - Harry Potter e la pietra filosofale - l'uomo più felice della terra guardandosi nello Specchio delle Brame vedrebbe solo sé stesso, così com'è: una delle più grandi cazzate mai scritte, a mio modo di vedere (NB: la frase, non il libro). La vita è sentire la mancanza, è un desiderio continuo, è volontà. Uno che non desidera altro che la sua vita così com'è,o è in punto di morte oppure è in quel momento eccezionale che si raggiunge appena dopo aver concluso una grande impresa. Diciamo pure che vivere è una grandissima rottura di coglioni, ma è da idioti desiderarne la fine. Le grandi imprese sono passate da un po' ormai e la mia meritata vacanza sta assomigliando sempre più alla disoccupazione più impunita. Lavoricchio - ho anche preso il primo stipendio - ma la remunerazione è occasionale e le opportunità di un'occupazione fissa dipendono essenzialmente dal mio ingresso o meno in scuola di specializzazione (esame a Ottobre). Nel frattempo più che fare quello che voglio, ormai direi che mi gratto pruriti. Intendiamoci, sono proprio i pruriti e i fastidi che ci fanno muovere il culo dalla sedia - e fa sorridere questa frase scritta accovacciato nel bel mezzo dell'intrigante simposio sulla "comunicazione orale col paziente affetto da Alzheimer" - ma non è abbastanza. Sto evadendo da qui per non sprofondare nella poltrona. Ma la verità è che sto fuggendo anche dalle esagerazioni notturne, anche se al terzo bicchiere in genere me ne scordo. Comincio a credere che la mia sete venga più da un desiderio di eterna gioventù che da un reale bisogno di divertimento. Sto tentando di continuare a fare quello in cui sono diventato bravo, a perpetuare l'immagine mentale di un Biagio che non esiste se non da sbronzo - e che forse solo per questo mi appare tanto desiderabile.

Seghe mentali, eh? Ebbene che vi aspettate possa scrivere qui dagli spalti? Volete la telecronaca de "il counseling continuativo al caregiver nei diversi contesti di cura"? Vedete da un lato sono stanco di essere il solito coglione di sempre, e dall'altro non ho nessuna intenzione di abbandonare tutto questo per cucirmi addosso un camice bianco. Tanto succederà comunque. La statistica dice che i medici che entrano in scuola di specializzazione escono fuori trentenni e sposati e - abbastanza spesso pure disoccupati - avreste voi davvero tanta furia di diventare specialista? Diciamo pure che che da qui a 10 anni mi vedo stressato, eccessivamente squattrinato e senza un briciolo di tempo libero. Soluzioni plausibili?
a) Fuga
b) Matrimonio con donna schifosamente ricca
c) Eroina
e ottimisticamente d) trovare almeno altri 100 ottimi motivi per cui valga la pena alzarsi dal letto ogni mattina.
A voi la scelta. Ovviamente B. 

Potrà sembrarvi idiota, ma vi giuro che una delle poche cose che desidero in questo momento è un bello scatolone Ikea ancora chiuso, possibilmente senza istruzioni. Ho veramente esaurito gli espedienti per passare le giornate, e oltretutto il problema è che non saprei più dove metterlo, il mobile. Uno ancora più grande è che non mi manca niente da troppo tempo. Questo, signori miei, per un ragazzo iperattivo con una spiccata inclinazione alla malinconia e alla drammatizzazione, è un disastro.


Eppure c'è una verità più dolce scritta in queste righe. Io sto bene, e questo è l'effetto che mi fa.
PS: Potrei cominciare a scrivere un libro anziché queste cagate insulse...ma qualcuno lo leggerebbe?

29 maggio 2014

Svolte del destino - ovvero: come ho portato il VIP a Via Verdi

"Mio fratello è figlio unico perché non ha mai criticato un film senza prima vederlo". La citazione non è casuale.
Succede che dopo aver passato anni ad identificare la sintesi di tutti i mali del cinema italiano in una certa categoria di attorucoli capaci di riempire le sale più per la loro graziosità che per il loro talento (pressoché assente), uno finisca per doversi ricredere - almeno un po'. Fa ridere perché se mi avessero dato un euro per ogni volta che ho infamato il VIP in questione, a quest'ora avrei potuto tranquillamente darmi allo strozzinaggio.



Alcuni miei compagni di quest'avventura, terrorizzati dalla penna di Alfonso Signorini, dalla copertina di Novella 2000 e soprattutto dall'ombra di Fabrizio Corona, preferiscono rimanere nell'anonimato. E come contraddirli? Qui si parla di gente troppo importante. Li chiameremo quindi con degli pseudonimi: Gigi, Vito, Ciccio e Billeri.

La nostra storia inizia con un aperitivo. Il meraviglioso buffet a 4 euro della Salumeria di via dei Macci, che offre la possibilità di riempire per ben due - e sottolineo il due - volte il piattino di plastica con pasta, crostini e insalatine russe. Seduti su una trave poggiata su delle cassette di plastica a mo' di panchina, con un bicchiere di rosso scadente in mano e la bocca piena, stavamo lì a testimoniare quanto dolce può essere la vita del disoccupato. Con fare sprezzante guardavamo i clienti del rinomato ristorante Cibreo, seduti agli eleganti tavolinetti dall'altra parte della strada, a poco più di 3 metri. Firenze è unica in questo: turisti, signori, barboni e cazzoni che si divertono ognuno alla loro maniera nella stessa via e in piena tranquillità.
Ecco quindi che fa il suo ingresso in scena l'ospite a sorpresa. Arriva quasi di soppiatto - diciamo pure che nessuno di noi lo aveva riconosciuto - e si piazza proprio davanti alla nostra panchina. Incuriositi dal numero di persone che lo fermavano per farsi una foto, realizziamo in breve tempo di chi si trattava: niente popò di meno che di Riccardo Scamarcio. La scoperta fu accompagnata da sonori commenti. "Mah, nun è mica così fio..." "Ma che cazzo ci fa lui lì da solo al ristorante?" "Chissà le fie che nun s'è trombato" "Scusate, ma che film ha fatto?"
È curioso notare come alla domanda "Hai visto 3 metri sopra al cielo?" l'uomo italico abbassi lo sguardo e risponda a) sì per colpa (di quella troia) della mia ex; oppure fieramente afferma b) col cazzo.
Mentre spettegolavamo come gallinelle, il vino finisce e andiamo a prenderci un'altra bottiglia di rosso al vinaino lì dietro, lasciando Ricky da solo davanti al locale. Una volta tornati, il nostro eroe era seduto al tavolinetto lì di fronte, alle prese con l'antipasto, ancora solo. Era decisamente l'ora di rompergli i coglioni. "Vieni Giggi che ci facciamo una foto con Scamarcio" "Ma cu' cazz', non me la facc'a foto cu' sto strunz. Manco fosse o cantante degli Aerosmith." (scusate il pessimo napoletano)
Io e Vito andiamo (noncuranti del fatto che ci aveva sentito mezza strada). "Scusa lo so che ti si rompe i coglioni a cena, ma ci si può fare una foto?" Risposta inaspettata: "certo, venite di qua" e con un gesto ci invita al tavolo. "Volete un bicchiere di vino?" "Che vino è?" e lui, svelando indubbie doti enologiche: "È buono, è biologico!".  Non sono precisamente il tipo che fa tanti complimenti, tanto meno che rifiuta un calice, e quindi il momento dopo eravamo lì a parlare, gomito a gomito. Vito e Ricky sono conterranei, e la conversazione vira presto sulla Puglia, sull'emigrare, sul futuro di questo paese. Inaspettatamente Scamy si lancia in accorate filippiche dal gusto squisitamente marxista, un po' in stile autogestione del liceo. Ci dava del tu, e noi facevamo altrettanto. Il passo di lì a scroccargli le sigarette era breve, e noi prendiamo confidenza abbastanza alla svelta.
Si trovava a Firenze per il derby del cuore, dove aveva giocato per la squadra di Emergency, di cui è un grande sostenitore. Era rimasto in città per girare un film dei fratelli Taviani, le cui riprese peraltro sono iniziate nella mia Pistoia, dove ancora si trovava la troupe...il che spiegava il perché Scamy si trovasse lì da solo.
Le chiacchiere continuavano, intervallate da continue richieste di foto da parte di ragazzine, fidanzati di ragazze, signorotte e passanti. Ci racconta dei suoi due grandi sogni: fare il contadino e l'attore. "Sono stato fortunato, perché ho potuto fare entrambi. Sono un ZappAttore." (no comment)
Dopo una ventina di minuti anche il restio Gigggi si avvicina al tavolo, seppur senza mostrare un minimo di apprezzamento per Scamy, il quale invece continuava ad ammaestrare la folla coi suoi discorsi e a giostrarsi in mezzo alle richieste di foto allo stesso tempo. "Ma tu sei Scamarcio?" "No, sono Gabriel. Gabriel Garko."
In maniera molto dolce ed educata, io lo incalzavo cercando di carpire qualche aneddoto di piccole avventure amorose, qualche segretuccio del suo indubbio successo col gentil sesso. L'interrogativo che gli ho più volte riproposto, specie coll'aumentare dei bicchieri, suonava più o meno così: "Via giù, Ricca, qual'è la meglio fia che ti sei trombato?" E qui bisogna che spezzi una lancia a favore di Ricky, perché in tutta franchezza avrebbe potuto raccontarci qualsiasi stronzata, anche la peggiore delle sboronate, e noi ce la saremmo bevuta...ma quello alzava gli occhi, aspirava la sigaretta e rispondeva "Ragà, sono fidanzato."
Niente. Nulla. Ci ha lasciato a bocca asciutta.

Il tempo passava e la cena era finita, credo che lui non volesse stare in mezzo alla gente, fatto sta che quando gli propongo di venire a bere un bicchiere a Via Verdi 13, Scamy accetta di buon grado. Confesso che ci ha reso tutti molto contenti. Immediatamente scatta la telefonata a Ciccio (che era a casa). "Ci', ti porto a casa un ospite a sorpresa" "Sì, già me lo immagino...Vedi che io devo finire di studiare!" (il giorno successivo, mi avrebbe confessato che si aspettava di trovarsi in salotto un barbone di Piazza Salvemini.)
Vito, Giggggi, io ed altri - di cui non so se posso fare il nome - salivamo le scale a 3 a 3, finché non ci troviamo davanti all'uscio dell'appartamento. Ricky entra in casa e trova ad accoglierlo una selva di segnaletica e luminaria stradale, fermate dell'autobus, Manuela la manichina, bandiere scritte a mano e l'immancabile cartello: AMICI MIEI QUI SI TROMBA...e gli piace. Grande.
Ciccio lo vede "E tu cosa ci fai qui??!". Bia, la coinquilina brasiliana, invece lo osserva con un impagabile sguardo da "Quindi questo qui sarebbe un attore famoso e bello?".
Ci mettiamo sui divani, il vino rosso scende e la conversazione adesso ruota attorno a...Pasolini. Per rispetto, non citerò niente, ma vi racconto che Scamy insiste per farci vedere un video più o meno incomprensibile, argomentandolo in maniera altrettanto criptica. A salvarci dalla deriva culturale, interviene l'ultimo coinquilino. La porta di casa si spalanca, e Billeri percorre il corridoio a grandi falcate fino al soggiorno.
"O te?" "Il che ci fai qui?" "Biagio, quando tu m'ha detto che c'era gente famosa a casa, pensavo ci fosse gente importante davvero. Che so...Magalli." Ridono tutti. Scamarcio compreso.
"Senti ma ce l'hai dove dormire?" "Grazie, ma sì." "No via, diccelo...vuoi rimanere qui?" "Tranquillo, ho una camera" "Sei sicuro?" "Ma li vuoi due euro? Non fare complimenti" Ricky ride ancora, e noi con (di) lui. Viene stappata un'ultima bottiglina di rosso, di quella del nonno del Billeri. Un vinellino onesto, che anche l'attorone dimostra di apprezzare.
La serata giungeva infine al termine, lo accompagniamo tutti all'hotel, vicino al Ponte Vecchio. Prima di uscire Scamy ci autografa il muro. Sulla strada altre persone ci fermavano per le foto, finché Ciccio "E con me la foto non ve la fate?" "Tu chi saresti?" "Come chi sono io?! Io sono la Rivelazione. Ho fatto un Medico in Famiglia." Scena meravigliosa: Ricky che fa la foto a Ciccio con i suoi fan.
Arrivati al ponte è il momento dei saluti e degli autografi. Billeri in particolar modo tira fuori un quadernone, glielo mette in mano e comincia a dettare "Scrivi: la situazione..." "La situazione te la scrivi da solo." E con quest'ultima cazzata lo salutiamo.

Insomma, a voi il giudizio...il mio è che nonostante non abbia mai visto un film con Riccardo Scamarcio, tranne Romanzo Criminale - che è bello - ne ho sempre avuto una brutta opinione. Ho sbagliato, e mi scuso. Non era da tutti assecondare dei cretini come noi.



11 maggio 2014

A volte, una canzone



A volte credi di ascoltare
il cielo che si prepara a crollare.
A volte scivolano via i fari
come se ci fossero i binari.
A volte per poter afferrare
le tue mani devi bucare
A volte, una canzone,
rende merito al sole

È un seme di follia
che cresce ogni giorno
e combatte l’apatia.
Non vuoi più fare ritorno.

A volte nel suo sguardo
cogli i baci dati in ritardo.
A volte nel suo sorriso
ti pietrifichi indeciso.
A volte la vedi andare via
pregando per la tua amnesia.
A volte, una canzone,
rende merito al sole

È un seme di follia
che cresce ogni giorno
e non guarisce l’apatia.
Non puoi più fare ritorno.
Le borse si fanno scure
nella luce del mattino;
Tu non avrai più paure
ma non sei meno cretino.

A volte gli anniversari
spiccano solo sui calendari.
A volte smetti di nuotare
per provare com’è annegare.
A volte non serve una rima
per migliorare l’autostima.
A volte, una canzone,
rende merito al sole

È un seme di follia
fiorito tutto attorno,
si chiama allegria
puoi intuirne il contorno.
Niente più sonno.
Niente più dolore.
Forse questo è un sogno
o si è fermato il cuore.