25 luglio 2013

Eppure

La pagina immacolata riflette due borse scure divenute coi giorni compagne costanti degli sguardi e dei pensieri. Piegato sul computer a spulciare pagine lette e rilette, l’estate si fonde col bianco di google e l’azzurro di facebook. La qualità della mia esistenza è sostanzialmente scaduta nelle ultime settimane…tuttavia è una malcelata soddisfazione che muove le dita sulla tastiera nella ricerca delle parole giuste per la tesi; ognuna è una conferma dell’impresa compiuta, un monumento ai sei anni di esami chiusi nel libretto, non meno celeste di quel giorno in fila alla segreteria del Morgagni quando mi fu consegnato. Scrivo per festeggiare, per finire, per non pensare. L’obbiettività estraniante della composizione scientifica richiede un grado di soggettività pari a quella necessaria a cambiare canale o mettersi i calzini, e questo in fin dei conti è un bene. I voli pindarici e le linee guida europee sulla gestione dell’Ipertensione Arteriosa mal si conciliano. Eppure - quante volte avverbi come eppure o tuttavia, ciononostante, ma, se, rovinano la linearità di un pensiero altrimenti cristallino come uno shot di vodka? - Eppure, dicevo, ci sarebbe tanto a cui pensare. Ben comprendo che il concetto di quantità, molto o poco, quando si parla di riflessioni risulti essere almeno poco attinente…eppure non so come esprimermi più chiaramente.
Scegliendo quindi di non scalfire ulteriormente la superficie increspata di questa nube di pensieri dall’aspetto tutt’altro che sereno, vi racconto una storiella.

 Recentemente, l’altrimenti tranquillissima comunità montana de Le Piastre, paesucolo biecamente arrampicato sulla montagna Pistoiese, è stata sconvolta da un avvenimento del tutto straordinario. Gli abitanti raccontano di bambini in lacrime e di forze dell’ordine impegnate con tutti i loro mezzi per riportare alla normalità una situazione giunta ormai ad un passo dal precipizio.
Protagonisti di questa storia, come di qualsiasi storia che valga davvero la pena raccontare, sono due animali, che una natura  beffarda e violenta ha voluto nemici da tempo immemorabile: un gattino rosso - il cui nome preferisco non riportare per rispetto della privacy della bestiola stessa - e Jasmine, una cagnotta tutta denti con un occhio solo. Jasmine, aveva trascorso i suoi pochi anni di vita ricca di poche certezze, ma solidamente costruite all’interno di un giardino fin troppo grande per lei soltanto. Una di queste era che tutto ciò che osasse muoversi fuori dal grigio cancello di Villa Fiorita, ben si meritasse i peggiori dei rimproveri e i più minacciosi dei latrati, di cui lei stessa era fin troppo generosa elargitrice. Non sopportava, in particolar modo, l’ardire di alcuni ragazzetti che, armati di fucilini, sovente correvano proprio sulla strada di fronte inscenando improbabili inseguimenti con tanto di violenti scontri a fuoco. Imperdonabili, assolutamente imperdonabili. A nulla servivano infatti in quel caso, i richiami all’ordine di cui la lupetta era tanto prodiga: poteva abbaiare per ore ed ore, ma quei discoli furfantelli mai la piantavano di scorrazzare qua e là sparandosi addosso o mirando invisibili - ma non meno divertenti - bersagli. Il culmine della scelleratezza fu raggiunto, comunque, quando uno dei criminalotti in questione, un bel giorno di sole si presentò al branco di teppisti stringendo un’orribile creatura e malvagia. L’abominio in questione, appariva visibilmente stordito: il piccolo muso peloso si muoveva lento e con evidente fatica qua e là, le narici minuscole si aprivano affannosamente come per cercare di cogliere chissà quale notizia portata dalla calda brezza dell’estate pistoiese, le zampette fulve erano tutte rattrappite nella mano del bambino e  davano appena segni di vita  col loro lieve levarsi e stiracchiarsi, gli occhi di un vacuo grigio come appena dischiusi alla luce di un mondo troppo splendente per essere osservato direttamente. La cosa che più di ogni altra fece impazzire dalla rabbia la povera cagnotta fu il constatare come tale mostruosa sintesi di bruttezza fosse sorprendentemente oggetto di speciali attenzioni da parte di chiunque la vedesse: non solo i terribili infanti si perdevano in coccole e moine sdolcinatissime per quel rospo dal pelo rosso, ma tutti i passanti che la vedevano si fermavano a passare la mano su quel musino grottesco; le dita scendevano inesorabili non per colpire le mascelle striate o tirare i vampireschi orecchi cotonosi, bensì per solleticare il piccolo mento dell’animaletto ripugnante e per carezzarlo! Jasmine non sapeva certo cosa pensassero gli uomini coi loro pelami bizzarri e i loro sederi profumati di fiori, ma di una cosa era certa: quella creatura era malvagia, e di una malvagità così subdola dal riuscire ad attrarre a sé i poveri stolti uomini. Ma lei no, lei non si sarebbe fatta abbindolare da quella leggera goffaggine che colorava ogni spostamento del mostro e che veniva accompagnata dai sospiri e i versetti degli ignari spettatori. Lei sapeva che quei pomellini rosa lucido che abitavano le zampette tremule della peste, non erano morbidi doni della dolcezza che la natura regala ai cuccioli, bensì concentrati di cattiveria e perfidia.  Potete ora forse immaginare quello che provò la povera cagnetta quando anche Francesco, il più giovane e  quindi scellerato – ma non per questo scusabile – membro del suo branco familiare, aprendo il grande cancello si avviò verso l’ignobile gatto manifestando apprezzamenti verbali e perfino una carezza. Basta, era troppo, la situazione stava degerando, e lei sapeva bene che una soluzione doveva essere trovata al più presto, a qualsiasi costo.
Dall’altra parte del cancello, il sole era alto e colorava il mondo di vivi colori, ignoti fino a pochi giorni prima. La vita era sempre stata dolce, prima scandita dal latte caldo della mamma e dai sottili lamenti dei fratellini, quindi da coccole infinite e giochi: palline, filini, buffe macchie luminose e riflessi, specchi, guanciali e uccellini…il mondo non finiva mai di proporre spunti di profonda riflessione nonché oggetti di infiniti agguati e corse. Ogni giorno il sole spuntava, e mentre le zampette - adesso ben più robuste e pronte a scattare come molle - si facevano sempre più sicure nel passo, la casa si arricchiva costantemente di nuovi angoli da scoprire, celati cantucci in cui nascondersi, avventurosi cespugli da esplorare e cortecce sui cui affilarsi gli splendenti artigli. Ben poco quindi contava il dover miagolare più volte affinché quei cretini di bipedi comprendessero il loro dovere di servire il cibo…era un sacrificio sopportabile, dopotutto quelle lunga dita rosa sapevano talvolta regalare momenti di meritatissimo relax. Con questi sentimenti il gattino rosso continuò a crescere per alcune settimane, così come cresceva il territorio che riteneva essere di sua naturale proprietà. Ben presto ogni albero del vicinato recava i segni indelebili delle sue unghie, e non c’era pietra che non avesse conosciuto l’invisibile tocco di piuma del suo balzo…beh, quasi ogni pietra: c’era ancora quel grande giardino recintato, abitato da quella curiosa creatura monocola così fastidiosa e rumorosa; lì non c’era mai stato. Aveva camminato su e giù sul muretto che regge l’elegante inferriata circondante la villa, e bene aveva studiato la geografia del posto attraverso le assi di ferro fitte anche se non abbastanza da impedire il passaggio di un agile esploratore quale lui era. Quella creatura bionda e pezzata scura, sempre impegnata ad abbaiare al minimo movimento, gli appariva ad un tempo rozza e stolta, ma comunque sostanzialmente inoffensiva per un magnifico felino come si sentiva. Non aveva mai avuto occasione di visitare quel giardino che ogni giorno si svegliava sorridente nel sole di Luglio eppure ancora segreto al tatto delle sue delicate zampe tigrate, ma sapeva che niente può fermare uno scaltro cacciatore dal raggiungere la sua preda, e lui era il migliore che conoscesse.
I nostri due eroi continuarono ad odiarsi e studiarsi vicendevolmente con infinita cura e precisione ancora per giorni e giorni, fin quando Jasmine – incolpevole - chiusa in casa per sbaglio per alcune ore, non venne meno ai suoi doveri di guardia costante di Villa Fiorita. Era l’occasione perfetta: il gatto rosso, saltò furtivamente attraverso un’apertura nell’intreccio di metallo che lo divideva dal tanto agognato giardino e cominciò a gironzolare tra le rose variopinte e i gigli selvatici che spuntavano qua e là per il prato. Ecco però che la porta di casa si spalancò, e la lupa in quello che sembrò meno di un battito di ciglia fece scattare le snelle zampe curve, e lanciando le spalle dietro alla bocca deformata in un sorriso aguzzo e spaventoso, volò all’inseguimento dello sventurato felino. Ora ti mangio. Dall’altra parte, il cuore esplose in una raffica di mitra accompagnato da  un grido assai poco elegante che fuggì dalla bocca sempre così delicata, sconvolgendo il rosso pelame in una corrente agitata di stizze e dilatando gli occhi grandi adesso praticamente smisurati. Così conciato il micio percorse alla velocità della luce i pochi metri che lo dividevano dal cancello, ma preda della folle corsa, anziché saltare quest’ultimo ostacolo e trovare quindi la desiderata libertà, decise di arrampicarsi sul più alto faggio lì vicino.
Jasmine, approfittando della sciagurata decisione dell’avversario, cominciò ad esibirsi nella più splendida collezione di minacce che conosceva e facendo sfoggio dell’impeccabile avorio delle sue fauci, girava ossessivamente a terra con la bocca spalancata, attendendo un insperato dono dal cielo. Che piacere, che scena impagabile. La cagna sentì finalmente calda e liquida la soddisfazione, che saliva su dal terreno da lei amato, raggiungere la sua gola ed esplodere in violenti ululati di gioia ai piedi dell’albero. Vendetta, tremenda vendetta. L’altro invece, tutt’altro che tranquillizzato dalla salvifica altezza raggiunta, non finiva di tremare e affondare gli artigli curvi nella corteccia di quel faggio divenuto d’improvviso scenario di una sfiancante guerra di posizione degna delle trincee della grande guerra.
Purtroppo il narratore, richiamato lontano da Villa Fiorita, non potè assistere oltre a tale spettacolo, per cui le notizie da qui riportate sono frutto di alcune comunicazioni telefoniche avvenute il giorno seguente con la madre che verranno trascritte fedelmente.
“Ciao mamma” “Ciao passerotto…ah! Ti devo raccontare di Jasmine col gatto! E’ successo il finimondo!” “Cioè? Non è ancora sceso? S’è incazzato il padrone? Ma con tutti i posti che c’erano quel cretino di gatto doveva infilarsi proprio lì dal cane? E poi come cazzo si fa a salire su un albero e poi a nun saper scendere?!” “Macchè…abbiamo dovuto chiamare i pompieri, i quali hanno detto che è un classico, e che oltretutto quei poverini di gatti si lasciano morire pur di non scendere dalla paura.” “I pompieri? E sono venuti?” “Certo…immaginati la scena: il bambino del vicino in lacrime e noi mortificatissimi per l’avvenuto, il padre più accomodante che cercava di farlo smettere mentre provava a richiamare la bestiolina. Poi è arrivato il camion rosso, seguito da tutti i vicini” “Che dì…ci credo, i pompieri alle Piastre sono un avvenimento di pe’ ridere” “Aspetta…loro ci hanno chiesto ovviamente di mettere Jasmine in casa – che poerina era già chiusa da 20 ore – e poi hanno tirato fori la scala. Ma non ce l’hanno mica fatta! Quel bischero di gatto non s’è lasciato prendere ed è salito ancora più in alto, dove la scala non arrivava!” “No via, un ci credo…e quindi?” “E quindi nulla…tornano oggi pomeriggio, perché non c’era modo di tirarlo giù. Tra l’altro stasera né io né Fede ci siamo, quindi abbiamo chiesto ad Arnaldo di pensarci lui
Passa qualche ora
“Mamma? Allora?” “Aspetta Franci che ti fo ridere…Praticamente ho telefonato ad Arnaldo, che mi ha raccontato che in serata sono tornati i pompieri con un camion con una scala ancora più lunga” “Ce l’hanno fatta?” “Sì sì, stessa scena di stamani, il bambino in lacrime, il babbo a consolarlo e i pompieri che salgono la scala…Solo che Arnaldo deve aver parlato con tanta gente giù al bar, perché dice che c’era tutto il paese a fare il tifo!” “Ahahaha…ci credo i pompieri due volte nello stesso giorno alle Piastre è un evento unico!” “Infatti…gli unici che se lo sono persi siamo noi. Comunque poi è finito tutto bene…dice che Il gatto pareva più morto che vivo quando l’hanno tirato giù, ma il bambino se l’è ripreso e ha smesso di piangere” “E la gente?” “La gente ha applaudito, e che doveva fare? Jasmine e il gatto sono sulla bocca di tutto il paese. Tra l’altro la tu cagna è stranamente contentissima. Pensa a fatto le feste a tutti i pompieri.” “Ah sì??”
E così, un po’ insensatamente e un po’ banalmente si conclude la storia dei due animali pistoiesi…Per chi si aspettava un finale più eccitante mi rammarico e ricordo che purtroppo o per fortuna la vita per quanto colorata possa essere raccontata, finisce sempre con lo scadere nella grigia normalità.

Concludo dicendo che sono contento di aver ricominciato a scrivere.