21 luglio 2014

Andrea, oggi.

Possono le parole scritte decenni fa continuare a parlarti come se dette ieri? Un vecchio professore sosteneva che: "Un'opera d'arte è eterna e universale, perché non esaurisce il suo significato in ciò che il suo creatore intendeva, ma ne trova di nuovi ogni volta che qualcuno la osserva."
Beh, questa è la mia versione di Andrea.

Non sono le stagioni a cambiar colore,
ma gli occhi, che senz'occhi, di colori
non ha neanche senso parlare.
È la solita vecchia storia,
sempre vera, sempre uguale,
seppur non meno storta.
Andrea stamani non apre la porta.

Stanchezza che la notte non cura
mentre la imprigionano le coperte.
Solo una canzone la rassicura
e rende più dolci le compresse,
quelle che conciliano il sorriso.
Sarà perché dei sorrisi era stanca
che si lascia alle spalle il paradiso,
la famiglia e il conto in banca.
Andrea oggi non lascia la stanza.

Quel che resta è il ricordo dolce
di questa sfiorita primavera
adesso confusa tra le gocce.
Poco le importa di cos’era
che le aveva riempito il petto,
solo che ora si perde nel letto
così vuoto sotto la spalliera.
Andrea non cucina stasera.

Maltempo che ingolfa idee e pensieri
senza ricoprire la camera di pioggia.
Quanto si bagnerebbe volentieri
se bastasse a ritrovare la voglia.
La voglia di ripartire, senza lasciare,
ché non sono il luogo o la gente
ad averle insegnato ad odiare,
ma il niente che dappertutto sente.
Andrea forse non dorme stanotte.

Forse ha perso il treno,
se ce n’era uno davvero,
rimane ferma sui binari
con gli occhi abbagliati
come fanno gli animali
prima d’essere schiacciati.


17 luglio 2014

Via Verdi 13 - Numeri ed Infrastrutture

Arrivai a Firenze da esule, col cuore dall'altra parte dell'Europa e col prurito continuo di voler andare altrove.
Il primo appartamento che mi ospitò si trovava in via Pietro della Valle, a due passi da Careggi. La camera era spaziosa, l'affitto abbordabile, avevo un lettone matrimoniale, una bella scrivania di mogano e pochissima voglia di studiare, di andare in Ospedale, di chiedere una tesi e ancora meno di finire gli studi. Mi affacciavo alla finestra scomparendo nel grigio di via Mariti. Traffico, sirene, asfalto e palazzoni tutt'attorno, che come vespai inghiottiscono i condomini nascondendoli li uni agli altri.
Poi qualcosa cambiò.
Era un pomeriggio di inizio estate quando io e Marco - il - Conte vedemmo l'annuncio di un appartamento sfitto nel pieno centro storico. Affitto basso, numero di camere alto, due bagni e un sogno ad occhi aperti fatto di feste improbabili e avventure a luci rosse. Sborsata la caparra, cominciammo la selezione dei nuovi inquilini. Quel che successo dopo beh..."ti prego Biagio, non lo scrivere su internet".


Statistiche semi-serie
Si può affermare senza grandi approssimazioni che dal Settembre 2012 a oggi, sono passate per Via Verdi 13 più di 500 persone - perlopiù giovani e assetate, provenienti da oltre 25 nazioni (tra cui Italia, Brasile, Svizzera, Spagna, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Belgio, Polonia, Estonia, Lituania, Russia, Ucraina, Repubblica Ceca, Grecia, Turchia, Israele, Finlandia, Svezia, Stati Uniti, Cuba, Messico, Venezuela, Marocco, Camerun e India).
 Nei 6 posti letto nominali (drammaticamente espandibili a 14 considerando materassi gonfiabili, divani letto, brandine, tappeti e vasca da bagno) hanno trovato riposo poco meno di un centinaio di individui, tra parenti, amici, amici di parenti, amici di amici, donne occasionali o meno, couch-surfers, imbucati, sconosciuti e killer seriali. Sono state organizzate un trentina di cene - con un record
di 21 invitati (nonostante i limiti oggettivi delle 12 seggioline IKEA e di un servito da 10 piatti sfusi rubacchiati qua e là), 4 festone ufficiali e svariate invasioni di casa nel cuore della notte (o della cena) da parte di amici spersi nel dedalo di vicoli fiorentini. Il numero massimo di partecipanti ad un evento è stato di 150 circa, in occasione della festa di compleanno di Bia, Luca e della laurea di Biagio.
Gli inquilini ufficiali dell'appartamento sono stati 8, cui si aggiungono gli special guest estivi, tra cui Marina la greca, Ula la polacca fuggita d'Egitto e due avvenenti turche, per assonanza rinominate Indesit ed Iveco.

Miscellanea di cazzate
Via Verdi 13 vanta 5 inquilini in carne e ossa e una di legno di nome Manuela (convertibile al bisogno in albero di natale). È buona norma, in casa, sostenere il riciclaggio: la quasi totalità dell'arredamento è stata, per così dire, trovata, compreso un armadio, una poltrona a fiori, un espositore della Conad, una magnum di chianti, la mitica Necchi - macchina da cucire vintage anni '60 - un tagliere da 4 chili e un'intera fermata dell'autobus. La luminaria di casa è stata realizzata con impianti di segnalazione per lavori in corso stradali - ciò non ha provocato, ad oggi, alcun incidente fatale.
VV13 ha una propria pagina facebook dedicata alla divulgazione delle più utili informazioni inerenti i grandi problemi della società contemporanea, quali l'annosa questione su quanti peperoncini calabresi ci vogliono per far piangere un brasiliano o su quale sia l'imprecazione migliore per ottimizzare l'operazione di montaggio di un letto IKEA.
Il motto dell'appartamento, lapidariamente inciso su una lastra di metallo (e ornato con pure mutandine cubane al 50%) è AMICI MIEI, QUI SI TROMBA. Ovviamente tale avviso va inteso nel senso più musicale che riuscite a immaginare.
Molte sono le affiliazioni di VV13: il Party Bene, staff multicolor che ha riempito locali per Firenze tutto l'anno, grazie all'infinita passione di Rosario Likes a Sun e alla barbetta di Leo Bongianni DJ; gli Whoopie Hookers, di Giggi, Ciruo', Davide e Pietro, gruppone rock affermato; L'alimentari AM - PM di Sanjeev Kumar, il dolce commerciante di quartiere - e fornitore di buona parte degli ettolitri di alcol necessari alla sopravvivenza degli inquilini - che più volte ha partecipato alle cene di casa e il Gustami Kebab di Ali Moon, dove tutte le serate cominciano e finiscono.
Sponsor, nonché mascotte ufficiale dell'appartamento è il grande Riccardino Scamarcio, che salutiamo. Qui trovate la storia del nostro fugace ma intenso incontro.



Popolazione
Considerare come abitanti di Via Verdi 13 i soli paganti il canone di affitto, sarebbe oltremodo limitante. La lista di coloro che vivono le 4 pareti della casa, va in effetti estesa a coloro che hanno partecipato attivamente alle attività ludico-ginnico-gastronomiche settimanalmente tenute nell'abitazione, andando quindi a comprendere una stretta cerchia di amici degli inquilini e qualche Erasmus che ogni anno finisce per accasarsi presso gli stessi.
In primis va citato il gruppo storico degli omacci: Ciccio, Cipo, Ciaccia, Giggi, Guardu e Biagio. 6 pseudonimi, che nascondono altrettante teste di cazzo senza bisogno di alcuna altra presentazione.
Un posto d'onore va quindi riservato a Bia, o meglio Beatriz de Oliveira Alcantara Gomes, il cui nome tradisce un lignaggio antico, che richiama i conquistadores europei. Al contrario degli avi però, è stata la piccola Bia ad essere educata al civilizzato mondo moderno, svelando un naturale talento per i costumi della buona società fiorentina fatta di aperitivi superalcolici e compiaciuto ozio sul divano a scoprire i capolavori della cinematografia internazionale. Notevole la sua dedizione alle 12 ore di sonno - minime - che ha mostrato durante tutto l'arco della sua sfiancante avventura italiana. La migliore.
Non possiamo poi dimenticare la platinata Jessica e il suo smisurato cane Rolly. I volvoli di pelo volante che hanno abitato gli altrimenti lindi corridoi dell'appartamento, hanno donato alla casa quell'effetto villaggio fantasma western che tanto va di moda oggi. In una recente intervista, circa le abitudini culinarie di Jessica, rilasciata dagli attuali inquilini di VV13 hanno commentato:"Non ci piace".
Viene quindi il turno di uno dei primi veri uomini di casa, il già citato Marco - Il - Conte. Fino a quando non lasciò la casa alla volta dell'Est Europa (dove voci infondate affermano la sua affiliazione alla Chiesa Ortodossa Catto-Comunista della Seconda Rivelazione di S.Nicolaus - in cui rivestirebbe il ruolo di arcivescovo) Marco ha abitato ininterrottamente il divano di casa dalle ore 14.00 (orario della sveglia) fino alle ore 02.00 di ogni giorno, imbracciando il computer e svelando i complotti orditi da una stampa troppo asservilita ai poteri forti e corrotta. Memorabili i suoi dialoghi col televisore durante Ballarò: "Punto primo, mio padre è carrozziere..." forte di questa indiscutibile verità ha affondato colpi tremendi agli ospiti della tramissione, che per loro fortuna non potevano sentirlo.



Lorenzo - la manita - Borchi, Flavio - la voix - Di Lella e Davide - la mente - D'Errico insieme formano il favoloso trio acustico (e autistico) Put Your Money, attivo sulle vie fiorentine da anni ormai. Ebbene sì, i tre celebri musicisti sono parte integrante del sottobosco urbano che circonda Via Verdi 13, e proprio all'ombra del palazzo, in piazza Salvemini, il gruppo ha raggiunto la grande fama internazionale a forza di concerti in strada e di bottiglie di acqua riempite di Tequila. Intramontabili.
Menzione d'onore agli studenti esteri, in particolar modo alla bandaccia di francesi capitanate da Coline, alla dolce Caroline e i suoi coinquilini, a Eva Newman e alle indimenticabili spagnole di Lugo, Natalia e Albis. Se ci aveste dato un euro per ogni bevuta che avete scroccato, adesso avremmo un condizionatore vero in casa (e non i ventagli di carta fatti a mano da Ciccio colle copertine semi-rigide di "L'arte della Muratura oggi" edizione Del Prado). Ci mancate.
Infine ricordiamo Susanna e le sue amiche, promesse in sposa ad ognuno degli uomini di Via Verdi, senza che mai in effetti si presentassero. Non pervenute.


Testamento
Si chiude così la stagione fiorentina. Ci siamo divertiti tanto. Adesso arriva il momento degli addii, che già da un pezzo aleggia tra una birra e un filmato idiota di youtube. Abbiamo già rimpiazzato il 90% degli inquilini e in men che non si dica torneranno nuove risate ad abitare la cucina col suo tavolone in abete. Eppure, sinceramente, non ho voglia di cominciare tutto da capo. Non so come dirlo senza passare per un frocino smielato, ma mi mancherete, tanto.

14 luglio 2014

Let Me Entertain You

Mi piace pensare che scrivere qualcosa sul blog serva a qualcosa.
Sostanzialmente a riempire quel grigiume insulso che dilaga su facebook o su uno qualsiasi dei mille altri social, così come su ognuno dei mille canali televisivi. Abbiamo tutti bisogno di svago. Mille canali tematici, mille ricette di cucina, mille cartoni animati, mille reality, mille tv contest. Maratone di film a tema, maratone di serie nuove e vintage, maratone della pimpa, di paperissima, di bim bum bam, della prova del cuoco. Storditi da un palinsesto così ricco, accendiamo il computer o il tablet, il cellulare, lo smart-watch e lo smart-frigo per scoprire cosa ha scritto quella mezza topa che una sera hai conosciuto alla festa di chi non ricordi, scoprendo che va a Cecina con altre quattro mezzi busti dalle labbra arricciate e 50 mi piace per gamba. Il tuo ex vicino di casa ha scoperto grazie a un test che se fosse un animale mitologico sarebbe un ippogrifo cornuto del Guatemala, mentre una brunetta che probabilmente non hai mai visto dal vivo – ma che occupa la tua bacheca da così tanti di anni da essere praticamente di famiglia – ha postato un articolo che riporta le 10 foto che ti cambieranno la vita, o forse erano le 13 foto più irresistibili del secolo, o i 15 gatti più grassi del mondo, i 23 nani più simpatici di Hollywood, le 45 migliori parodie di film sul baseball del triennio 95-97 o i 17 tonni pinne gialli più grossi tagliati con un grissino.
Tutto molto illuminante.
La montagna di grigiume si accresce, comincia a coprire e quindi a inghiottire quelle 3 informazioni che ancora ti strappano un sorriso o un pensiero. Siamo tutti vittime e carnefici in questo giochino, seppure quasi del tutto incoscienti...ma lo scopo di queste mie righe non è quello di fare la morale a qualcuno, né di tediarvi ulteriormente. Voglio solo distrarvi, appunto.
Anche io mi trovo spesso a ingrigire davanti allo schermo, scaricando la responsabilità della mia noia sul niente di cui tutti ci nutriamo e alimentiamo. Ogni tanto me ne scordo però, e colto da una spinta inspiegabilmente positiva, cerco di condividere qualcosa di mio, senza avere la pretesa che sia degno del mi piace altrui, ma cercando di dare agli altri quello che io cerco dalla rete. In questa chiave il racconto del Nuti vorrebbe essere il tentativo di raccontare episodi e fantasie dei mie ultimi due anni passati in centro a Firenze, senza compromettere eccessivamente chi li ha vissuti veramente – me compreso.
Eppure la voglia va e viene. Vi confesso che ogni volta che mi sento dire “Hai scritto un nuovo post! L’ho letto quasi tutto, ma era così lungo!” perdo un ulteriore granello di fiducia nella mia generazione. Poi mi ricordo che nessuno di noi si considera parte di questa generazione e non so neanche più con chi prendermela. Allora mi viene da chiedermi se il problema sta in quello che scrivo, o meglio nel come lo scrivo. Tutti abbiamo bisogno di svago. Dovrei solo cercare di strappare una risata, usando parole semplici, immagini abbaglianti e soprattutto non usando più di mezza pagina. Forse sì. Anche perché non posso negare che ogni vostra nuova visualizzazione mi regala una discreta soddisfazione.
Eppure non è per questo che scrivo. Voglio distrarvi, ma soprattutto sono io che voglio distrarmi. E a me piace usare questo spazio per liberarmi dal grigiume che riempe le ore in cui non lavoro, non rido, non mi sbronzo o non faccio tutto il resto. Vorrei essere bravo a portarvi con me in questo giro di pensieri, e sinceramente mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, bene o male che sia.


Ho già usato troppe righe e la maggior parte di voi si è già perso qualche capoverso più in su. Beh, è davvero arrivato il momento di condividere qualcosa di mio.
Non tutti i grigi sono uguali. C’è una noia speciale, che si chiama malinconia, in cui spiriti lascivi e un po’ romantici adorano sguazzare seppur senza ottenere alcun risultato tangibile. Uno di questi grigi lo trovate tutto chiuso in una certa musica dal sapore tipicamente stonato e sgraziatamente rilassato. Quella che oggi vi regalo è la lista delle 10 canzoni delle allegre giornate piovose.
1) Fake Empire– The National

1 luglio 2014

Il Nuti - seconda parte

Sfrecciavo, ricordo, sul pavé bagnato dalla pioggia, scartando ora biciclette e ora valigie trascinate da turisti scornacchiati dal mal tempo. Mi hanno sempre fatto tenerezza gli stranieri che visitano la città durante la stagione invernale. Chissà quanta delusione nel trovare il Bel Paese tutto ammantato dal grigiore bagnaticcio e gelido di Febbraio. Gli immancabili shorts e berrettini tradiscono l'attesa di ben altro clima all'ombra del Palazzo Vecchio, mentre il loro sfoggio dimostra una notevole coerenza alle loro idee (nonché un'indubbia resistenza al freddo). Le loro cosciotte bianche e rosa, nude sotto le sferzate del vento crudele che gira attorno al duomo, mi riportavano sempre alla mente quel vecchio film di Totò, in cui lui e Peppino giungono a Milano rivestiti di pelliccia da capo ai piedi in piena estate, perché "A Milano fa freddo". A Firenze quella mattina faceva freddo davvero però.


Lanciatissimo nei miei vicoli medievali, davo degna dimostrazione del perché gli scooter siano il vero sangue pulsante che agita le arterie della città fiorita: una serpentina a 50 all'ora tra specchietti e passanti, che solo decenni in sella infischiandone di semafori rossi e piogge di insulti insegnano a disegnare. Sapete, si dice che ogni mezz'ora a Firenze avvenga un incidente che coinvolge un motorino...ed evidentemente l'orologio del destino quel giorno stava per segnare colle sue lancette invisibili il minuto che portava il mio nome impresso sopra.
La vidi sbucare fuori dal nulla, anche se proprio nulla non era: sul marciapiede a lato della strada c'era un furgone parcheggiato, che il conduttore aveva pensato bene di abbandonare lì, col portellone posteriore aperto, per andare a fare chissà quale lavoretto in chissà quale palazzo là attorno. Lei veniva da dietro il Ducato e come fece un passo verso il centro della strada, senza curarsi minimamente di guardare verso l'unica direzione di marcia della carreggiata - la mia - me la trovai proprio davanti, a meno di tre metri dalla ruota anteriore. Con un riflesso fulmineo e un mezzo infarto, riuscii a deviare lo sterzo quel tanto che bastava per non metterla letteralmente sotto, ma non abbastanza da evitare di urtarla col portapacchi, perdendo del tutto un equilibrio già reso precario dalla pietra umida e della frenata.

La scivolata del Liberty fu arrestata bruscamente dallo scalino del marciapiede che arginava il rivolo di acqua e pietrisco che scorreva sul vicolo, mentre io, privo di ogni ostacolo, schizzai via libero dalla legge di gravità. Un volo d'angelo. Anche se al posto delle candide piume fu il giaccone catarifrangente delle Poste a librarsi in aria per qualche istante. Vidi la grondaia scura avvicinarsi a velocità supersonica al mio sfortunato naso. Sfortunato sì, perché da bravo cazzone qual'ero, anziché l'omologatissimo casco in dotazione, ho sempre indossato un padellino logoro, memore dei bei tempi delle medie nonché privo di visiera o di qualsiasi altra protezione si potesse interporre tra il mio grugno e il tubo metallico. Sbam. Degno erede della scuola orafa fiorentina del Ghiberti e di Donatello, scolpii il mio profilo nel rame sottile. Un istante che ha lasciato il segno.

Credo di essere svenuto o di avere avuto un'allucinazione, non so. A onor di cronaca devo dire che questo episodio l'ho raccontato così tante volte da non saperne più distinguere il ricordo dai dettagli di cui si è arricchito tra una narrazione e l'altra. Per me fu come trovarsi in un video musicale: saranno stati gli anni trascorsi per strada con le cuffie perennemente piantate nelle orecchie, circondato da un muro di suoni che mi conciliava col traffico, coi turisti e coi bus; saranno stati gli anni sprecati davanti al televisore a guardare Mtv (quando ancora la M stava per Music e non per Merda), cantando testi di cui non capivo assolutamente nulla; sarà stata la più che probabile commozione cerebrale legata al trauma cranico...eppure tutto cominciò a muoversi sulle note che ancora sussurravano dagli auricolari, magicamente non sfuggiti alla presa delle mie orecchie, nonostante il colpo. Liberissimi di non crederci, però chiudete gli occhi e provate a immaginare.

Seguendo note come dita leggere che si sollevano dal marciapiede su per ciclamini appesi alle ringhiere, ti infili sotto le tende e le lenzuola, assieme ai brividi che due amanti soffocano in gola. Al piano sotto una ragazza si sente sola, con la valigia ancora da disfare. Gira e gira coi piedi nudi sulla moquette rivestita di cd brasiliani. Doveva ritornare, finire gli studi e costruirsi un futuro. Lei però vuole rivederlo: fanculo il domani. Dalla finestra un tizio in cravatta sbatte lo sportello e il cellulare, col cuore che romba in mezzo al traffico del viale. Dietro la scia di una bicicletta si ritrova su un argine qualche anno prima, a rincorrere lucertole che si nascondono nelle mura del piccolo cimitero. Una vecchia china sulla pietra serena stringe due fedi al petto, quando per un istante le campane le ricolorano il capo di nero, e di bianco il corsetto. Alla preghiera si succede il ricordo della promessa già mantenuta, ma ancora non meno vera. Poco più in là ci sono un bimbo biondo e i suoi ciuffi d'oro confusi a fili d'erba spessa. Osserva con invidia il gioco delle nuvole e tiene il ritmo con i sandali mentre si perde dietro a un battito di ali nell'azzurro. Da lassù la terra si allontana, un amico dice addio dal finestrino dell'aereo. Chiude gli occhi ed è ancora in piazza colla bottiglia fredda e la risata calda, giocando a fare il musicista. Poco più in là sono io, ancora per terra sotto il giaccone, e lei vicino a me nella medesima posizione.

Io non so per quale cazzo di motivo lei si trovasse in quella strada, né quale urgenza avesse condotto lì il furgone col suo autista, né perché proprio in quel momento dovesse giungere anche un bus ad unirsi al caos del momento...ma uno ci doveva essere per forza.
Vedete, con la canzone giusta, sembra di poter agire fuori dal tempo che scorre nonostante gli impegni più o meno inutili di ogni giorno. Capita che riesci a intravedere quel filo che lega i momenti e le persone, gli uni alle altre, se non addirittura a seguirlo e a intuirne il finale. Poi però succede sempre che la sveglia o la mamma, il fratello, la multa, l'amica, l'esame, il cellulare, la televisione, la macchina, il pedone, la sirena...ti abbassano il volume. Devi per tornare ad affrontare i problemi che non puoi fare a meno di ignorare, come un incidente, per esempio.
Mi svegliai. Lei era un mucchietto di ossa, peraltro mal conciata coi suoi jeans a vita alta strappati e sanguinolenti, i capelli bagnati di pioggia e la camicetta sdrucita con sopra quello che poteva essere il nome di qualche marchio straniero, illeggibile. Quel poco delle braccia che si intravedeva da sotto il giacchino, tradiva una magrezza eccessiva, ma non sgradevole, a suo modo. La sua figura era esile ma necessaria, di quelle che non puoi neppure immaginare con qualche curva o un paio di grammi in più. Il volto coperto da una cascata di crini castani e stravolti, scuoteva appena in su e in giù, come singhiozzando. Sono sempre stato tenero, colle donne. Mi avvicinai come per abbracciarla, perso nella musica della pioggia che versava lacrime dolci sulla scena, coprendo ogni altro rumore.

"MA CHE CAZZO FAI? IMBECILLE." Mi si parò davanti il suo muso rosso, sottile e sconvolto da una rabbia animalesca, tipo quella di un cinghiale mamma a cui hai toccato i cuccioli. Che esempio del cazzo. Rende l'idea però.
Fu così che Eva entrò nella mia vita, avviandola alla sua distruzione.