1 luglio 2014

Il Nuti - seconda parte

Sfrecciavo, ricordo, sul pavé bagnato dalla pioggia, scartando ora biciclette e ora valigie trascinate da turisti scornacchiati dal mal tempo. Mi hanno sempre fatto tenerezza gli stranieri che visitano la città durante la stagione invernale. Chissà quanta delusione nel trovare il Bel Paese tutto ammantato dal grigiore bagnaticcio e gelido di Febbraio. Gli immancabili shorts e berrettini tradiscono l'attesa di ben altro clima all'ombra del Palazzo Vecchio, mentre il loro sfoggio dimostra una notevole coerenza alle loro idee (nonché un'indubbia resistenza al freddo). Le loro cosciotte bianche e rosa, nude sotto le sferzate del vento crudele che gira attorno al duomo, mi riportavano sempre alla mente quel vecchio film di Totò, in cui lui e Peppino giungono a Milano rivestiti di pelliccia da capo ai piedi in piena estate, perché "A Milano fa freddo". A Firenze quella mattina faceva freddo davvero però.


Lanciatissimo nei miei vicoli medievali, davo degna dimostrazione del perché gli scooter siano il vero sangue pulsante che agita le arterie della città fiorita: una serpentina a 50 all'ora tra specchietti e passanti, che solo decenni in sella infischiandone di semafori rossi e piogge di insulti insegnano a disegnare. Sapete, si dice che ogni mezz'ora a Firenze avvenga un incidente che coinvolge un motorino...ed evidentemente l'orologio del destino quel giorno stava per segnare colle sue lancette invisibili il minuto che portava il mio nome impresso sopra.
La vidi sbucare fuori dal nulla, anche se proprio nulla non era: sul marciapiede a lato della strada c'era un furgone parcheggiato, che il conduttore aveva pensato bene di abbandonare lì, col portellone posteriore aperto, per andare a fare chissà quale lavoretto in chissà quale palazzo là attorno. Lei veniva da dietro il Ducato e come fece un passo verso il centro della strada, senza curarsi minimamente di guardare verso l'unica direzione di marcia della carreggiata - la mia - me la trovai proprio davanti, a meno di tre metri dalla ruota anteriore. Con un riflesso fulmineo e un mezzo infarto, riuscii a deviare lo sterzo quel tanto che bastava per non metterla letteralmente sotto, ma non abbastanza da evitare di urtarla col portapacchi, perdendo del tutto un equilibrio già reso precario dalla pietra umida e della frenata.

La scivolata del Liberty fu arrestata bruscamente dallo scalino del marciapiede che arginava il rivolo di acqua e pietrisco che scorreva sul vicolo, mentre io, privo di ogni ostacolo, schizzai via libero dalla legge di gravità. Un volo d'angelo. Anche se al posto delle candide piume fu il giaccone catarifrangente delle Poste a librarsi in aria per qualche istante. Vidi la grondaia scura avvicinarsi a velocità supersonica al mio sfortunato naso. Sfortunato sì, perché da bravo cazzone qual'ero, anziché l'omologatissimo casco in dotazione, ho sempre indossato un padellino logoro, memore dei bei tempi delle medie nonché privo di visiera o di qualsiasi altra protezione si potesse interporre tra il mio grugno e il tubo metallico. Sbam. Degno erede della scuola orafa fiorentina del Ghiberti e di Donatello, scolpii il mio profilo nel rame sottile. Un istante che ha lasciato il segno.

Credo di essere svenuto o di avere avuto un'allucinazione, non so. A onor di cronaca devo dire che questo episodio l'ho raccontato così tante volte da non saperne più distinguere il ricordo dai dettagli di cui si è arricchito tra una narrazione e l'altra. Per me fu come trovarsi in un video musicale: saranno stati gli anni trascorsi per strada con le cuffie perennemente piantate nelle orecchie, circondato da un muro di suoni che mi conciliava col traffico, coi turisti e coi bus; saranno stati gli anni sprecati davanti al televisore a guardare Mtv (quando ancora la M stava per Music e non per Merda), cantando testi di cui non capivo assolutamente nulla; sarà stata la più che probabile commozione cerebrale legata al trauma cranico...eppure tutto cominciò a muoversi sulle note che ancora sussurravano dagli auricolari, magicamente non sfuggiti alla presa delle mie orecchie, nonostante il colpo. Liberissimi di non crederci, però chiudete gli occhi e provate a immaginare.

Seguendo note come dita leggere che si sollevano dal marciapiede su per ciclamini appesi alle ringhiere, ti infili sotto le tende e le lenzuola, assieme ai brividi che due amanti soffocano in gola. Al piano sotto una ragazza si sente sola, con la valigia ancora da disfare. Gira e gira coi piedi nudi sulla moquette rivestita di cd brasiliani. Doveva ritornare, finire gli studi e costruirsi un futuro. Lei però vuole rivederlo: fanculo il domani. Dalla finestra un tizio in cravatta sbatte lo sportello e il cellulare, col cuore che romba in mezzo al traffico del viale. Dietro la scia di una bicicletta si ritrova su un argine qualche anno prima, a rincorrere lucertole che si nascondono nelle mura del piccolo cimitero. Una vecchia china sulla pietra serena stringe due fedi al petto, quando per un istante le campane le ricolorano il capo di nero, e di bianco il corsetto. Alla preghiera si succede il ricordo della promessa già mantenuta, ma ancora non meno vera. Poco più in là ci sono un bimbo biondo e i suoi ciuffi d'oro confusi a fili d'erba spessa. Osserva con invidia il gioco delle nuvole e tiene il ritmo con i sandali mentre si perde dietro a un battito di ali nell'azzurro. Da lassù la terra si allontana, un amico dice addio dal finestrino dell'aereo. Chiude gli occhi ed è ancora in piazza colla bottiglia fredda e la risata calda, giocando a fare il musicista. Poco più in là sono io, ancora per terra sotto il giaccone, e lei vicino a me nella medesima posizione.

Io non so per quale cazzo di motivo lei si trovasse in quella strada, né quale urgenza avesse condotto lì il furgone col suo autista, né perché proprio in quel momento dovesse giungere anche un bus ad unirsi al caos del momento...ma uno ci doveva essere per forza.
Vedete, con la canzone giusta, sembra di poter agire fuori dal tempo che scorre nonostante gli impegni più o meno inutili di ogni giorno. Capita che riesci a intravedere quel filo che lega i momenti e le persone, gli uni alle altre, se non addirittura a seguirlo e a intuirne il finale. Poi però succede sempre che la sveglia o la mamma, il fratello, la multa, l'amica, l'esame, il cellulare, la televisione, la macchina, il pedone, la sirena...ti abbassano il volume. Devi per tornare ad affrontare i problemi che non puoi fare a meno di ignorare, come un incidente, per esempio.
Mi svegliai. Lei era un mucchietto di ossa, peraltro mal conciata coi suoi jeans a vita alta strappati e sanguinolenti, i capelli bagnati di pioggia e la camicetta sdrucita con sopra quello che poteva essere il nome di qualche marchio straniero, illeggibile. Quel poco delle braccia che si intravedeva da sotto il giacchino, tradiva una magrezza eccessiva, ma non sgradevole, a suo modo. La sua figura era esile ma necessaria, di quelle che non puoi neppure immaginare con qualche curva o un paio di grammi in più. Il volto coperto da una cascata di crini castani e stravolti, scuoteva appena in su e in giù, come singhiozzando. Sono sempre stato tenero, colle donne. Mi avvicinai come per abbracciarla, perso nella musica della pioggia che versava lacrime dolci sulla scena, coprendo ogni altro rumore.

"MA CHE CAZZO FAI? IMBECILLE." Mi si parò davanti il suo muso rosso, sottile e sconvolto da una rabbia animalesca, tipo quella di un cinghiale mamma a cui hai toccato i cuccioli. Che esempio del cazzo. Rende l'idea però.
Fu così che Eva entrò nella mia vita, avviandola alla sua distruzione.



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