13 agosto 2015

Di Pisa, del caldo e di quell'artre 'azzate

La voglia di lavorare è ormai ridotta a poche stille che evaporano nel caldo insostenibile di quest'estate. Sono schiavo qui, a Pisa, altrimenti nota come la città più afosa dell'italica penisola.

Nel Dialogo Sui Massimi Sistemi, Galileo così diceva della sua terra natia: "Deh, ci si ribolle". E ancora nel Sidereus Nuncius "Pensa che sul Sole fa'n cardo bestia che pare di sta' a Pisa!".
Anche il Boccaccio ha scritto alcune righe in merito all'ex repubblica marinara "Era n'afa che un ci si riavea neanche dopo'l bagno in Arno". Celeberrimo è invece il passo del XXII canto dell'Inferno in cui Dante parla di come fecero i pisani a sfuggire al clima tropicale:

"D'estate, inver, sì caldo facea
che li pisani per frigerio trovar 
costruiro'l campanil che pendea:

in origin dritto lo dovean far
ma giacchè ombra a Pisa un c'era
alto e torto lo voller innalzar

sì che el diede maggior copertura
pel popolo che sotto si pigiava
e posar potea nella frescura"

Tra i grandi poeti del passato tuttavia, è sicuramente Leopardi quello che ci ha lasciato le più celebri parole dedicate alla città e al suo clima: "L’aspetto di Pisa mi piace assai più di quel di Firenze. Questo lungarno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente che innamora: non ho veduto niente di simile né a Firenze né a Milano, né a Roma, e veramente non so se in tutta l'Europa si trovino vedute di questa sorta. Vi si passeggia poi nell'inverno con gran piacere, perché v'è quasi sempre un'aria di primavera: sicché in certe ore del giorno quella contrada è piena di mondo, piena di carrozze e di pedoni: vi si sentono parlare dieci o venti lingue, vi brilla un sole bellissimo tra le dorature dei caffè, delle botteghe piene di galanterie e nelle invetriate dei palazzi e delle case, tutte di bella architettura. Nel resto poi, Pisa è un misto di città grande e di città piccola, di cittadino e di villereccio, un misto così romantico, che non ho veduto mai altrettanto. A tutte le alte bellezze, si aggiunge la bella lingua. Però a Pisa non si tromba."
Com'è noto il poeta, una volta lasciata Recanati, aderì ad un ferreo regime di droghe pesanti - già all'epoca particolarmente facili da reperire in Piazza Vettovaglie - il che spiega il 99% delle affermazioni che avete appena letto.
Tuttavia alcune delle osservazioni del Leopardi trovano riscontro nella realtà:

 - vi si sentono parlare dieci o venti lingue: e questo perché i Pisani non esistono. Vi posso assicurare che in tutta la città non c'è neanche l'ombra di un autoctono. Leggende urbane che si perdono nell'alba dei tempi, narrano che gli indigeni sarebbero migrati altrove, mossi dallo sdegno per l'ennesima invasione di barbari provenienti dall'Oriente - che giungevano a frotte in città per farsi ritrarre in Piazza dei Miracoli (mentre fingevano di arreggere la torre) fin dall'Alto Medioevo. Pensate che tutt'oggi la piazza è gremita da pullman e file di cinesi, eppure del Pisano Doc© ancora non c'è traccia. Se proprio sei fortunato puoi incontrare qualche nativo di Buti, Lari, Fauglia, S.Croce sull'Arnaccio, Pontremoli, Cascina e tutta quella serie di ridenti località campestri più celebri perché citati nei doppiaggi del Nido del Cuculo che per l'amenità dei loro scorci.

- A tutte le alte bellezze, si aggiunge la bella lingua: I nati nella provincia di Pisa (visto che di pisani veri non ce ne sono), parlano un toscano imbastardito da inflessioni liguri e espressioni marinaresche, e che di bello sinceramente non hanno proprio nulla. Alle C aspirate del fiorentino, qui si preferiscono le R marcate e inopportunamente sostituite alle L: "e tu ha'visto un beR fiRme!" (hai visto un bel film! - trad. ti stai ingenuamente illudendo); si utilizza ovunque il deh  con funzione di interiezione esclamativa o interrogativa, di avverbio, preposizione, pronome o anche di particella a sé stante con dubbio significato: "Ma hai mangiato?" "Deh"; il pisano assomiglia tantissimo al livornese, ma chiunque a Pisa - calabresi, siciliani e albanesi inclusi - ti dirà che sono totalmente diversi. Per concludere, nel lessico pisano esiste una parola che da sola definisce questi caratteri non precisamente eleganti e aggrazziati del dialetto quivi parlato, ed è ghiozzo. Ebbene, il pisano è ghiozzo. 

- A Pisa non si tromba: per quanto alcuni filologi oggi mettano in discussione l'attribuzione della frase al sommo poeta, essa rappresenta a tutt'oggi una drammatica realtà. 

- Pisa è un misto di città grande e di città piccola: In soli venti minuti di passo tranquillo vai dalla torre alle spallette dei lungarni, con tanto di selfie e birra in piazza Cavalieri. Fuori le mura trovi ad attenderti la città nuova, dove i quartieri rinascimentali svaniscono in un lampo tra le palazzine anni '80 e i vialoni senza alberi. Ecco che la dolcezza della città che si specchia nell'Arno lascia il posto all'anonimato della più grigia periferia: se sovrappensiero ti allontani dal centro, d'un tratto alzi gli occhi e sei colto dalla sensazione di poterti trovare in un punto qualsiasi del globo. Inavvertitamente cerchi collo sguardo un qualsiasi campanile, edificio o lampione che penda, giusto per ricordarti dove sei. Se testardamente continui a camminare, prima o poi finisci nel quartiere di San Biagio, dove - ironia della sorte - sorge il grande ospedale universitario. A poco a poco vieni inghiottito dai padiglioni numerati del presidio di Cisanello, in una distesa infinita di mattoncini rossi e tetti a capanna sorretti da colonnine di cemento bianco. Sfuggito anche alla morsa del nosocomio, raggiungi infine il limite esterno della città, inanellato dai raccordi della superstrada che si snoda nella campagna verde, non ancora erosa dal cemento. Qui la tua fame di spazio e di aria trova infine appagamento nel profilo morbido dei colli, che si frappongono a Lucca, sul finire di una distesa d'erba e girasoli.


La mia esistenza pigiato sotto l'ombra della torre procede, e confesso che ormai un po' Pisano mi ci sento davvero - volente o nolente. Ho passato fin troppo tempo a friggere nei ricordi e a struggere nei rimpianti di quel pezzetto di esistenza fiorentina interrotta. Capisci di avere un problema quando un bel giorno ti alzi, ti metti un bel cappello, fermi una bella ragazza per strada e anziché chiederle il numero di telefono, le pianti un mega pippone sul come sia tremenda la tua nuova vita da specializzando a Pisa. La fanciulla, in tutta la sua innata grazia e cortesia, ti scruta coi suoi occhioni carichi di dubbio e, mossa dalla più sincera curiosità, ti chiede: "Ma che cazzo di problema hai?". Ottima domanda. Sono passati alcuni mesi da allora, e ancora non saprei ancora cosa rispondere...e questo perché mi sono reso conto che effettivamente è da idioti passare le giornate a cercare una risposta. 
Vi ho raccontato questo suggestivo aneddoto cercando di darvi una spiegazione per non aver scritto, per essere stato molto poco social e, in fondo, per essermene altamente fregato di tutti voi negli ultimi mesi. Che volete, in questo caldo demenziale anche i legami si sciolgono - e io ho lasciato che si allentassero, almeno un po'. Alcuni di questi erano come nodi che stringevano troppo, fino a togliere il fiato e strozzare le risate in gola, come si fa con gli starnuti.

A tutti voi che siete partiti per non tornare, a tutti quelli che si sono sistemati, e anche a tutti gli altri che per un motivo o un altro non incrocio più per strada o al bar, confesso che mi siete mancati tanto, e che mi avete fatto anche discretamente male. Non ne ve ne faccio una colpa...semmai ve ne rendo il merito: spero di poter conoscere ancora molte altre persone di cui poi soffrire la mancanza; di quelle altre se ne può fare anche a meno.

Ogni giorno che passa mi rendo conto di essere sempre più isolato nel mondo ospedaliero, a tratti molto pesante...però dopo aver lasciato un po' a fermentare al sole i giramenti di coglioni, i dispiaceri e le mancanze, mi è tornata la voglia di ridere, di rompere i coglioni e di condividere.
Sto vivendo un bel periodo.