31 ottobre 2015

Primari

Avevo smesso di fumare. Ho riniziato. In realtà, è un vizio che non ho mai veramente perso.

Sono trascorsi un bel po' di anni dalla prima sigaretta rubata alla mamma di non ricordo chi, accesa nel campo dietro casa, al riparo da parenti e passanti. Devi aspirare. Girava di mano in mano nel più religioso segreto, tra risate e colpi di tosse.  Io aspiro sempre! Probabilmente ce ne sono state altre prima di quella in particolare, ma è la prima di cui mi ricordi e quindi fa lo stesso.
Ne ho dimenticato il sapore, ma ho ancora ben presente la soddisfazione misto senso di colpa di quella Malboro Light. Non posso dire lo stesso di praticamente tutte quelle che sono venute dopo.

In questo momento fumo una Camel in cucina. Il tizzone che si mangia il cilindro di carta produce uno sfrigolio peculiare. Un ticchettio che ha accompagnato questo gesto ripetuto Dio solo sa quante volte, e mai degnato di attenzione. Il rumore è sempre stato lì in mezzo alle chiacchiere, alle pause dalle lezioni, agli sguardi sollevati dal libro, ai treni che passavano, ai discorsi sconnessi, ai come stai? e ai ti è piaciuto? Una voce familiare appena udibile e che sostanzialmente non dice nulla. Queste Camel non sanno di un cazzo. A dire il vero è da un bel po' che hanno perso sapore. Quello che rimane sempre uguale è la nuvola di fumo che intasa i polmoni e colora di grigio bluastro l'aria qui intorno. A me neanche piace il grigio. A dirla tutta io odio il grigio. Eppure lo respiro di continuo, anche con l'accendino in tasca e il pacchetto vuoto.

Lo spettro della luce è composto in ugual misura da tre colori. Ciano, magenta e giallo. La loro combinazione a coppie produce rispettivamente il viola, l'arancio e il verde. Prendendo uno dei primi e mettendoli vicino alla combinazione degli altri due, si ottiene il massimo contrasto possibile. Questo è un vecchio trucco da sempre usato dagli artisti per trasmettere emozioni.


Campo di grano con volo di corvi - V. Van Gogh, 1890. 

Finito di dipingere Vincent quella sera tornò a casa, come sempre, quindi prese la rivoltella e si sparò nel petto. La pallottola si conficcò nel polmone, senza recidere arterie di grosso calibro o sfiorare il cuore. Gli ci volle un giorno intero ad andarsene. Trascorse le sue ultime ore in compagnia del fratello a chiacchierare e a fumare la pipa.

I colori sono tutto, non c'è bisogno che lo dica io. 

10 ottobre 2015

Malessere, definizione di.


L’orlo del vortice era formato da una larga fascia di spuma scintillante, ma nemmeno una goccia di tale frangia cadeva nella bocca del terrificante imbuto, il cui interno, fino dove arrivava l’occhio, era una parete d’acqua liscia, brillante, nerissima, inclinata a quarantacinque gradi sull’orizzonte, animata da un moto rotatorio e insieme ondulatorio lungo il perimetro esterno, capace di emettere un suono pauroso, per metà urlo e per metà ruggito, più intenso di quello che sia mai salito al cielo nella sua angoscia dalla possente cascata del Niagara. La base della montagna e la stessa roccia tremarono ed io, terrorizzato, mi gettai a terra abbarbicandomi ai radi ciuffi d’erba. 
«Questo», disse il vecchio, «questo non può essere altro che il grande vortice del Maelström.» 
Dicesi malessere quella condizione esistenziale simile a una spirale, nelle cui spire alle voglie si sostituiscono i pruriti, dove i si fanno assai più rari dei no, e dove alle strizzate d'occhio si avvicendano i sopraccigli inarcati. Una condizione in cui fondamentalmente le idee di bello o di giusto o di buono non trovano alcuna manifestazione tangibile. Se da una parte la risata diventa smodatamente cara e preziosa, dall'altra la cattiveria si fa tremendamente semplice e gratuita. Posti del cazzo, gente del cazzo, lavoro del cazzo, vita del cazzo. D'un tratto le due linee che separano lo squallore totale dalla fighettaggine più snob, si avvicinano al punto da ritagliare una striscia di mondo tanto sottile da starci stretto anche tu solo. Una posizione perdente, in buona sostanza - per non dire una posizione del cazzo. Ecco che la ricerca della tua felicità si fa invidia dell'altrui allegria, per poi degenerare in sincero disprezzo per il modo triste che tutti quanti hanno di stare serenamente al mondo. Ti ritrovi unico censore autoproclamato di un disagio diffuso e sbagliato, da combattere, da criticare e da farti il fegato amaro. Un censore tanto inutile quanto miope. Un censore del cazzo. Non ci vuole molto a capire che il problema sta da questa parte della scena, dietro il palco, in platea, lassù sulla tribuna da cui osservi lo spettacolo amaro con cui in genere s'intende la vita, o l'oggi, o la gente. Non ci vuole molto, ma per te è comunque decisamente troppo. Ormai hai perso completamente il gusto delle cose, delle persone, delle situazioni. Le poche cose che ancora ti suscitano un brivido sulla pelle, sono un bacio rubato, una scopata clandestina, un messaggino di buonanotte. Una buonanotte del cazzo. Per quello che ne sai la tua vita dovrebbe valere qualcosa di più del mero bisogno di ficcare l'uccello da qualche parte. A pensarci bene però forse non è poi così vero. La Bibbia recita testualmente andate e moltiplicatevi. Ed ecco che ti ritrovi a contare le volte in cui hai detto io non ti amo e scopri che sono molte di più di tutte le altre; quelle in cui, vittima della magia del momento, del sorriso, del profumo e del calore...ti sei ritrovato a dire quelle due paroline, certo che da quell'istante in poi le cose sarebbero state inevitabilmente diverse. Finché poi alla tristezza dell'ennesima delusione, si sostituisce la convinzione che in fondo è così gira il mondo, che solo un coglione poteva pensare diversamente. Una volta che hai finito di annegarti anche in questo fiume di lucida negatività, inizi a nuotare a ritroso nel tentativo di trovarne la fonte. E allora capisci che di base sei tu che non sai stare bene. Anche stare bene è da coglioni. Cercare la sbandata alla nostra età è da coglioni. Sognare è da coglioni. Ridere, divertirsi, ubriacarsi, staccare il cervello, conoscere sconosciuti, spendersi...tutta roba da coglioni. Ti esaurisci nella ricerca del motivo di tanta idiozia e ne trovi mille diversi, ma neanche mezzo che renda merito a quello che senti. Perchè la tua non è una sofferenza sincera. Tu vuoi stare male. Diciamocelo: è una sofferenza del cazzo. Tu vorresti sentire la mancanza di qualcosa - di qualcuno. Hai sempre pensato che in fondo si sta al mondo per trovare quelle cose che ti ci vogliono essenzialmente. E per essenzialmente si intende che quando se ne vanno via, ti fanno male. Tu cerchi quel male lì, di tutti quegli altri ne puoi fare a meno...assapori quindi l'inutilità della tua esistenza, come se potessi davvero provarci gusto. Ormai inebriato da tanta consapevolezza circa la tua grama condizione, per un momento ti senti come estasiato, quasi libero da quel fastidio di base che provoca il dover avere a che fare cogli altri, la famiglia, il mondo, il destino, il futuro, il tempo, il meteo, la pioggia, l'acqua, il vino, le piazze, i pedoni, i bus, le strade, i semafori, i colori, i vestiti, le mutande, le toilette, lo spazzolino e il letto...



Fin quando poi la mattina dopo ti svegli e riaffiori dal vortice di cazzate che hai scritto. E lì, davvero, ti accorgi di essere un coglione. Magari torni anche ad essere quel coglione. Il coglione allegro. E perchè no? Il coglione felice.