6 febbraio 2016

L'importante è andare avanti - Lettera aperta ad amici, compagni ed amanti

Non ci siamo sentiti per un po', è vero.
So che un semplice mi dispiace non ti basta, e che oltretutto suonerebbe ipocrita.
Ti devo delle spiegazioni, e sono qui per dartele - per quanto non sia sicuro che serva a migliorare la situazione.

Dall'ultima volta sono successe tante di quelle cose che non vale neanche la pena di stare qui a elencarle. E' sempre così con le cose: succedono - e in generale lo fanno troppo in fretta.

La vita da specializzando ha dei ritmi assurdi.
La rotazione trimestrale delle turnazioni genera una continua confusione nella tua giornata tipo, che oscilla tra la vacanza-studio pagata e lo sfruttamento di stampo negriero. Al trimestre di mezze giornate lavorative si succede un altro di segregazione in corsia, in cui parole come solitudine e stress assumono nuovi e terrificanti connotati. Nella monocromia della vita di reparto, la deprivazione sensoriale finisce col metterti in contatto col tuo animale guida interiore - anche solo per fare due chiacchiere con qualcuno che non sia in uniforme o in pigiama. Tanto per la cronaca, il mio è una volpe in doppio petto di velluto, nostalgica dei tempi passati a rubare galline di nome Mr Fox.


In questo costante ri-adattamento dei bioritmi impari a valorizzare veramente i momenti di tempo libero, per lo più seppellendoti nel letto alla ricerca del sonno perduto tra guardie di notte sfortunate e weekend di congressi. E così passano i giorni e i mesi, finché poi una mattina ti trovi in ambulatorio le nuove matricole senza che tu neppure ti sia accorto di non esserne più una.
Dove cazzo è finito il mio primo anno pisano?

La via dello specializzando è tutt'altro che rettilinea.
Assomiglia all'autostrada A 12, direzione Genova. La strada inizialmente fila dritta fin oltre la Versilia, scivolando sulla piana che scorre tra il litorale a occidente e le Alpi Apuane a oriente. Poi d'improvviso le montagne sembrano franarti addosso mentre la marea risale fino ad inondare la carreggiata, così che quando non sei costretto ad assecondare le asperità della costa ligure, finisci inghiottito da un tunnel.
Ogni volta che ne riemergi, la luce muta e con essa l'azzurro delle onde, ora blu cobalto e ora grigio plumbeo; il manto di ombra proiettato dall'arco di roccia bruna scompare dietro la curva e torna ad abbagliarti la distesa di abeti e faggi, baciati dai raggi di sole in un trionfo di verde.
La montagna però ha ancora fame e ti rivuole nella sua pancia nera e arancione per poi risputarti fuori, sotto il cielo, adesso ingolfato di nuvole fumose e gremite di pioggia. Mentre gli appennini continuano a masticarti, il tergicristalli scandisce come un metronomo lo scorrere dei chilometri che ti dividono da Genova. Una sottile patina di condensa si forma sopra il cruscotto, rendendo il golfo e le sue insenature un'unica macchia sfuocata di asfalto, su cui file e file di palazzi stanno ritte per magia come tasselli di domino.
Ormai il sole si spegne lontano, tuffandosi in una schiuma infiammata che separa il buio delle montagne dall'orizzonte. E' notte, e i lampioni sparsi sulla costa nera a malapena ne segnano il confine dalle acque altrettanto oscure.

Tu però sei sempre in macchina. Che ci sia il sole, la luna, la pioggia o la nebbia.
Prima almeno ci provavi a telefonare agli altri, quelli rimasti a casa e quelli scappati altrove. La linea però, cade ad ogni maledetta galleria, e ben presto il fastidio per le conversazioni interrotte supera il bisogno esplicito di risentire le voci amiche.
Le chat e i social forse aiutano a sentire meno le distanze, ma sicuramente non funzionano con le mancanze.
Le cose che passano dal finestrino non ti colpiscono davvero. Le cose passano davanti agli occhi senza avere il tempo di fissarsi sulla retina e inchiodarsi in quello strato molliccio di cervello dove sta la memoria. Passano i paesaggi, i volti, le strette di mano e gli abbracci.
Tu tanto se sei sempre in macchina. Che ci sia il sole, la luna, la pioggia o la nebbia.

Se ti dicessi che non ho più fatto salire nessuno a bordo, ti direi una cazzata. Tu mi conosci e sai bene come sono fatto. Anche i passeggeri come i panorami, passano e cambiano a cadenza trimestrale.

L'unica cosa che non cambia è l'ingenuità di essere lo stesso di quando ho girato le chiavi nel cruscotto poco più di un anno fa. Pur ammettendo che ciò sia possibile, se mi fermassi proprio in questo istante, mi troverei semplicemente solo e lontano. Lontano da te, dagli altri e da tutti quelli cui frega qualcosa di chi sono o di chi ero. Ma anche lontano da dove voglio arrivare...



Non volevo essere così pesante. Scusami. Oggi è una giornata piovosa, e la mia metereopatia non accenna a migliorare. A dire il vero, questo è un periodo fuori dal tunnel dell'ospedale e io sto sostanzialmente bene.
Questo ritmo frenetico ha il lato positivo di farti dimenticare tanto quei giorni indistinguibili gli uni dagli altri, quanto quelli in cui assisti alle tragedie vere.

L'importante è andare avanti.

Tu e gli altri siete rimasti indietro, ma almeno so dove guardare.
Se ti scrivo è per dirti che almeno tu non passi. Anche se forse a non passare, è solo la mia idea ingenua di te che avevo prima che girassi le chiavi nel cruscotto.

Nessun commento: