26 gennaio 2014

Parliamo di amore

Le stronzate tipo "barcollo ma non mollo" le tenete a casa vostra. Qui si barcolla e si barcolla tanto. Non c'è niente di male, credo.
Si chiude l'ennesima mandata di vizi, l'annaffiata di gente e casino cui i più anelano per l'intera settimana. "Viviamo aspettando l'estate o il sabato"...ma per favore. Se c'è una cosa in cui sono bravo è quella di trovare il piacere, di qualsiasi materia sia fatto. E vi posso anche dire - non senza superbia - che la completa assenza di un disegno da seguire o di un castello da costruire è ormai tranquillizzante. Il punto è che senza mattoni e scale rimani sempre sullo stesso livello, il cui panorama non appare spesso celestiale - anche se forse, non passo poi tutto questo tempo a guardarmi intorno.
Quello che voglio dire è che il sabato sera più che la valvola di sfogo di una settimana di fatiche, sta diventando sempre più il semplice coronamento di un quotidiano divertimento - che come ogni routine finisce per perdere ogni brivido speciale.
Non sono pronto a costruire qualcosa che duri. Forse non sono solo bravo a farlo. Sicuramente lo sono molto di più a spendere quello che ho e che sono...diciamo, a vendermi.
Mi gratifica enormemente l'essere apprezzato, acquistato. Al tempo stesso si contano su una mano le persone che davvero sappiano chi io sia. E sinceramente non me lo ricordo tanto bene neanche io.
Non è la solita tiritela sul io sono così e nessuno mi capisce. Nella mia idea una persona è sostanzialmente quello che fa. E a questo punto sorge spontanea la domanda "Ma allora di chi è la vita che sto vivendo?". Mi sento in eterna vacanza...un'auto lasciata in garage, o meglio, una macchina parcheggiata in tripla fila davanti a casa di gente che non vale neanche la pena conoscere.
Cosa so fare io? Boh, qualsiasi cosa tranne piegare vestiti e ballare in maniera decente - a dire il vero ho anche dei gravi deficit nell'avvolgere il cibo nella pellicola trasparente. Via giù trovatemi qualcosa da fare!


Nel frattempo si parla un po' d'amore.

Qual'è la più bella storia romantica della storia? (Il primo che risponde i Promessi Sposi viene costretto a vedersi la filmografia di Rocco Siffredi tagliando le scene di sesso - praticamente 5 minuti di tortura). No via, siamo seri. Tra le mie preferite c'è quella di Orfeo e Euridice.
Il figone dell'epoca dei miti sapeva suonare talmente bene che praticamente tutto si fermava ad ascoltarlo. Fiumi, alberi e fiere si commuovevano nell'udire sì grande dolcezza. La questione sul numero di figliole che uno così si poteva trombare richiede troppo tempo per essere affrontata esaustivamente. Eppure il giovine perse la testa (letteralmente) per una bella passerotta di nome Euridice, di cui, come sempre, la letteratura non ci dice nulla fuorché che era veramente bona. Insomma lui la prende e la fa sua colla sua arte, finché poi un altro tizio di cui ora mi sfugge il nome, cerca di fregargliela e lei scappando pesta un serpente (no comment) e more.
Dove sta il romanticismo? Boni via, ora arriva.
Disperato per la morte di Euridice si narra che Orfeo scrisse la più triste delle canzoni, cantando un dolore così disperato (e bello) che gli dei non poterono che piegarsi. Cogli occhi rossi e la voce rotta, raggiunse le porte dell'Inferno dove anche Caronte si commosse, acconsentendo a portarlo aldilà dello Stige. Dall'altra parte piansero tutti, Cerbero, le Erinni, i giudici dei morti e ovviamente anche Ade. Una valle di lacrime, è proprio il caso di dirlo. 

«[...] Per questi luoghi paurosi,
per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno,
vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice!
Tutto vi dobbiamo, e dopo un breve soggiorno in terra,
presto o tardi tutti precipitiamo in quest’unico luogo.
Qui tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora, e qui
sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto
il tempo che gli spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
io non me ne andrò: della morte d’entrambi godrete!».
Mentre così si esprimeva, accompagnato dal suono della lira,
le anime esangui piangevano; Tantalo(1) tralasciò d’afferrare
l’acqua che gli sfuggiva, la ruota d’Issìone(2) s’arrestò stupita,
gli avvoltoi più non rosero il fegato a Tizio(3), deposero l’urna
le nipoti di Belo e tu, Sisifo(4), sedesti sul tuo macigno.
Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta
si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore,
regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera,
e chiamarono Euridice.

In pratica il dio dei morti non poté che cedere alla richiesta dello sfortunato, restituendogli la sua bella Euridice, a patto che compisse il tragitto di ritorno senza mai voltarsi all'indietro a guardarla.
Ed ecco che arriva la scena tremenda.
Orfeo avanzava nell'oscurità stringendo la mano fredda della sua amata avvolti dal silenzio di un Inferno incredulo. Dietro di lui i passi di lei che taceva: i morti sono poco più di un'ombra. Non era felice. Era un uomo, aveva paura, era da solo nell'aldilà, il suo amore che tanto lo aveva infiammato dandogli la forza di vincere la legge degli dei, adesso lasciava il posto al timore di essere stato ingannato. Lei si muove piano, eppure stavano finalmente per scorgere il sole.
Orfeo si voltò.
Ebbe giusto il tempo per dire addio. Lei non era triste - nessuna donna lo sarebbe - l'unico peccato di Orfeo era che la amava troppo. Se la vide scomparire tra le braccia, morendo una seconda volta.
Quale fu il destino di Orfeo dopo che il suo cuore fu straziato ancora dal più dilaniante dei dolori è anch'esso leggenda. Chiuso nel suo lutto pianse per sette mesi stregando ancora il mondo colla sua tristezza, fin quando non fu fatto a pezzi da altre donne che lo volevano. La testa fu gettata in un fiume dove continuò a cantare e a chiamare la sua Euridice.

Perché vi racconto questo? Perché mi piace, tanto. Saranno almeno 2000 anni che i due sventurati ispirano a scrivere e a cantare. A proposito, ascoltate l'ultimo album degli Arcade Fire, e se potete leggetene i testi. Cantano proprio di questo. Alla fine anche nell'epoca del rincoglionimento generale, c'è sempre qualcuno che scrive bella musica.
Un altro pezzo devastante è Epilogue degli Antlers. Come suggerisce il titolo, parla della fine di un amore (si tratta dell'ultima canzone di un concept che racconta la storia della coppia), in particolar modo di lui che sprofonda nel letto sognando di poter ancora sentire il corpo di lei che non c'è più. Ci si perde tra sogno e realtà, gioia e dolore, amore e lutto. 

Ciao bestiacce.

(1) avendo cercato di far mangiare agli dei alcuni ragazzi cucinati (come sono umani questi antichi greci), Tantalo fu condannato alla fame eterna: legato a un albero carico di ogni frutto e immerso fino al mento in un lago, ogni volta che tentava di cogliere un pomo quest'ultimo gli veniva strappato dal vento, mentre ogni volta che tentava di dissetarsi il lago si prosciugava.
(2) non mi ricordo perché, ma questo avevo provato a trombarsi la moglie di Zeus (geniale) e allora fu legato a una ruota di fiamme che girava.
(3) questo non so perché ma era legato mentre due avvoltoi gli rodevano il fegato.
(4) il genio dei geni, praticamente aveva fatto la spia su Zeus che stava trombando una ninfa, al che il dio gli manda la morte a casa (Tanato) ma Sisifo che era uno sveglio la incatena in camera sua, Colla morte legata nessuno muore più e Ares, dio della guerra, non si diverte più in battaglia. Viene liberata la morte, Sisifo va negli Inferi ma siccome aveva costretto sua moglie a non seppellirlo, va protestare cogli dei riguardo al fatto che non aveva ricevuto un funerale serio. Gli dei (furbissimi) allora gli concedono 3 giorni di vita per farsi seppellire (no comment). Lui ovviamente scappa, ma viene riacchiappato e costretto a trascinare un macigno su per una montagna per l'eternità, senza mai riuscirci perché gli ruzzola sempre indietro.

7 gennaio 2014

Soundtrack

Se ne stava lì in cima al molo, tutta accigliata ad ascoltare il respiro del mare. D'un tratto si alzò in piedi, prese l'iphone, portò il braccio dietro la schiena e con un'ampia rotazione lo fece volare in mezzo alla schiuma delle onde. Quello rimase lì un paio di secondi, galleggiando sul pelo dell'acqua, e poi sparì nella nebbiolina biancastra.
Forse qualcuno, se vedesse un tale spettacolo in tv, conclusosi così, nel giro di due secondi e senza uno straccio di colonna sonora strappa-lacrime, rimarrebbe quantomeno perplesso - se non francamente deluso. Nella testa di Sabrina questo pensiero balenò per un momento mentre vedeva quel rettangolino di cristallo e plastica affondare nel mare plumbeo. Ma se aveste potuto osservare meglio la scena, allora avreste notato che il piede della ragazza batteva sulle pietre del molo seguendo un ritmo allegro e segreto.

Il primo walkman era arrivato in un Natale lontano, regalo di genitori o parenti comunque molto stretti, e da allora Sabrina era vissuta colle cuffie piantate nelle orecchie. Che lo facesse per isolarsi dal mondo o semplicemente per renderne più interessante il rumore, non c'è dato saperlo. Fatto sta che non fosse passato giorno o ora in cui la giovane non si fosse riempita il cervello di note di chitarra, piano e voci e tamburi. Le canzoni continuavano a echeggiare nel silenzio della sua mente anche quando le cuffie si ammutolivano. Che fosse seduta sul tram, piegata sui libri o stesse passeggiando per le vie del centro, la musica di Sabrina non si spegneva mai.

Molti si rifugiano nei sogni, altri si concentrano nei propri obbiettivi, altri ancora si chiudono nei ricordi e nei bei tempi andati...ma non lei. Sabrina si coccolava nelle discografie di artisti morti e nei b-side di impronunciabili band d'oltremanica. Adorava il synth-pop anni '80, vantava una conoscenza pressoché enciclopedica del rock anni '70, conosceva a memoria metà dei testi di Pink Floyd, Queen, Bowie, Smiths, Clash, Cure e quanti altri avessero dipinto la variopinta scena musicale britannica degli ultimi 40 anni. Aveva trascorso pomeriggi interi a cantare senza voce, suonando chitarre immaginarie fatte di aria e fantasia. Coll'avvento di internet aveva rubato al mondo migliaia di album e canzoni, scoprendo poi la vita - e la morte - di tutti i più grandi della storia. Spaziava da un genere all'altro come un bimbo in un negozio di giocattoli, stufandosi ora del baroque pop per darsi anima e corpo allo shoegaze e alla neo-psichedelia; saltava dai concept album di cantautori ventenni alle raccolte di musica da camera come si cambia canale della tv.

Tra un LP e l'altro, la vita di Sabrina era arrivata fino alla laurea. Viveva seguendo il proprio stomaco più che un criterio razionale: faceva quello che le piaceva, senza preoccuparsi di dove questo la conducesse - o almeno così aveva creduto di fare. Non era ambiziosa: lo studio, la laurea o il lavoro erano per lei solo meri strumenti per poter fare quello che gli andava. Faticava a capire gli altri che erano disposti a sacrificare i loro migliori anni per il raggiungimento di epiche mete senza fermarsi un momento a godersi il tempo che scorre.

Da come ve l'ho descritta, forse potreste pensare che Sabrina fosse una solitaria o quantomeno affetta da un velo di sociofobia...ma, a onor del vero, era sempre stata circondata da compagni sinceri e rumorosi. Aveva conosciuto l'amore in tenera età per poi stufarsene poco dopo, e da allora i ragazzi - più o meno cresciuti - non erano mai mancati. Poteva vantare la bellezza di 1338 amici su Facebook senza contare le mille altre connessioni tra skype, twitter, whatsup e i vari social. Insomma era ben inserita nella vita di oggi, coi suoi occhi grandi e castani, il sorriso smisurato e la linea morbida e leggera che certamente non disturbavano nei rapporti cogli altri.

Cosa faceva quel giorno di Gennaio in riva al mare? Bella domanda. La risposta arrivò pochi anni dopo per posta. Sulla busta uno strano francobollo viola con l'effigie di un leone e un numero, 18000, seguito da un simbolo irriproducibile - indubbiamente quello di una moneta straniera - e all'interno, una lettera scritta a mano.


<<[...]Non avevo mai visto il mare d'inverno prima di quel giorno. Il colore scuro, metallico, e l'odore, o meglio l'assenza dello stesso, mi colpirono più di tutte le cartoline di spiagge bianche o acque cristalline. E poi lo ascoltai, il brontolio delle acque. Certo, lo avevo già sentito migliaia di volte, ma non lo avevo mai ascoltato. Mi ha parlato, so che può sembrare stupido...Mi ha parlato colla voce di Lou Reed. Take a walk on the wild side. E io la mia passeggiata me la sono fatta...anche se è tutt'altro che finita.>>