25 aprile 2018

Fibrillazione

"Primavera non bussa, lei entra sicura 
Come il fumo lei penetra in ogni fessura 
Ha le labbra di carne, i capelli di grano 
Che paura, che voglia che ti prenda per mano 
Che paura, che voglia che ti porti lontano"

Un pensiero a primavera non ve lo nego.

Il mattino ha l'oro in bocca e io la barba sbavata di dentifricio. Al fluoro mentolato segue l'amarezza del caffè stemperata dalla dolcezza di uvetta e sfoglia, ed infine sublimata dal calore di una nuvola di fumo. Il resto della giornata è scandita da parole masticate troppe volte per poterne ancora apprezzare il sapore. Si scopra il torace. Si sdrai sul lettino. Faccia dei respironi profondi. Tossisca. Formule magiche ripetute religiosamente, riempiendo i silenzi della mente ma senza che nessun prodigio si avveri.

Passi troppo poco tempo a farti domande e ancora meno a cercarne le risposte. Forse non ne senti più il bisogno. Forse dai troppa importanza ai minuti che avanzano al lavoro - quelli in cui non stai cercando del cibo o ricaricando le batterie - per sprecarli ad inseguire grilli per la testa. Forse non sei più felice di un tempo, hai semplicemente smesso di chiedertelo perso nell'inverno di un ospedale qualsiasi.

La cittadella dei malati dorme sicura dietro la severa facciata razionalista, mentre tu metti in letargo desideri e voluttà, ormai ipnotizzato dalla ninna-nanna fatta di bip e colpi di tosse.

Intanto però il verde si arrampica furtivo sulle mura di marmo bianco, cullato dalle tiepide piogge di Aprile. D'un tratto la fioritura esplode dalle finestre senza maniglie, in un arcobaleno di vetri rotti e profumi che intasano i condizionatori e i respiratori pieni di amuchina. Una tempesta di petali di geranio arrossa le gote anemiche, come leccate di una leonessa irruenta e materna. Il sole filtra la nebbia in una salva di colori che ferisce i pensieri mollicci e ammuffiti .


La battaglia si consuma in un lampo, mietendo stuoli di autoconvinzioni e sicurezze impolverate.

Tu rimani lì, a contare le vittime a tentoni, col fiato corto e le orecchie che fischiano, abbagliato da tanta bellezza. La vampata di calore scioglie in un momento i nodi alla gola e riaccende la fucina dei sogni. Ti risvegli nei panni del poeta da quattro soldi, con qualche capello in meno e tanta voglia di continuare a scrivere la tua novella.

L'accenno di abbronzatura e il sorriso sulle labbra non tradiscono però la ferita che si apre poco più sotto. Cercando di tradurre i pensieri in versi, sei inciampato in una di quelle parole che non fa rima con nessun'altra. Basta un solo verso sbagliato a rovinare una poesia. Una sirena sgraziata si alza, distorcendo la dolcezza della melodia appena dischiusa dal sole.

Il cuore perde un colpo, poi un secondo e infine un terzo. Non sa più tenere il ritmo di tanta vita tutta assieme. Nel breve silenzio che divide due battiti, il suono si fa largo. Sgradevole, cacofonico, dissonante e sfortunatamente familiare.


Preferisco raccontarvelo io che lasciare che le voci corrano. Da poco più di un anno soffro di fibrillazione atriale. Sì, lo so, sono il colmo di un cardiologo. Presto mi sottoporrò ad una procedura per cercare di farla andare via.

Sono amareggiato e un po' spaventato. La cosa è diventata ingestibile da quando mi sono trasferito a Milano, dove mi trovo tutt'ora per un periodo di formazione.

Dio quanto volevo fuggire da Pisa. Ed ora, ironia della sorte, proprio lì devo tornare per cercare di guarire.

Milano è bellissima in questo periodo e io in fondo mi sento fortunato per essere qui, anche se per poco tempo e col cuore che funziona a singhiozzi. E' un po' come quando sei innamorato, non è quanto la vedi o cosa fate assieme, quello che conta davvero è sapere che esiste - anche se ti fa stare male.

26 giugno 2017

Mezzora a Pisa



C'è una mezzora a Pisa in cui il cielo arrossisce come d'imbarazzo e dischiude il più dolce dei sorrisi. Il sole ti guarda e pare chiederti scusa per tutte le disgrazie, le noie e le rogne. Una gentilezza rara, cui le genti rivolgono da sempre lo sguardo e le preghiere. 

Tu stai lì, ammaliato da tanto rosa, giallo e blu, e ti sembra quasi di poter toccare le nuvole di zucchero filato e il cielo di limone. Ti perdi nella sinestesia di una sera in cui l'Arno profuma di fragole, le strade di pesche e il cielo di amarene; perfino la sigaretta sa di vaniglia e cocco.

Poi il sole si tuffa in mare col fiume, e l'incanto si rompe in una nebbia confusa di dialetti, bicchieri appiccicaticci e cibo di strada. La notte si succede al giorno ed ecco che torna puntuale il miracolo del crepuscolo nella sua aura melliflua di frutta e caramelle.

C'è una mezzora a Pisa in cui ti dimentichi della sporcizia, delle crepe e della maleducazione. Affacciato sul fiume ritrovi la forza di andare avanti, anche solo per un po'. La bellezza ti ripaga di ogni sacrificio, di ogni mancanza e riempe il bicchiere mezzo vuoto.

Ogni sera i fedeli stanno in fila col cero in mano e il naso rivolto a ponente, dando un senso alle ore di noia o fatica che dividono un aperitivo dall'altro. Forse è questa processione quotidiana a legare tante persone nate in ogni dove a una città che non ha più figli suoi.

La malia del tramonto è come quella di Circe che ti porge il calice dolce sulle labbra. Quelli che bevono dimenticano la casa, i sogni e le ambizioni; senza accorgersene si tramutano in porci che si accontentano di ghiande di leccio e di quercia e corniolo. 

I lotofagi infestano la città, i cui muri e le madonne raccontano la storia di nessuno, e cui nessuno presta orecchio. Vagano da un uscio all'altro, tutti intenti a succhiare il succo inebriante della gioventù anche quando non è che un'ombra rossastra sul viso.

Tu invece bruci come Ulisse, per cui né dolcezza di figlio, né pietà per il vecchio padre, né debito d'amore, poterono vincere l’ardore di fare esperienza del mondo, dei vizi umani e del valore. Non t'importa se il viaggio finirà male ed i compagni sono dispersi su spiagge lontane.


Ho avuto intere giornate di sole e le ho barattate per ore di neon alogeno. Non sentirò più il calore sulla pelle, ma lo stomaco è in fiamme e non c'è pozione che possa calmarlo. Io quella mezzora me la perdo sempre. La novità è che non voglio neppure più vederla.

Ci sono altri lidi ed altre genti da scoprire. 

23 marzo 2017

Il miocardio ibernato - il risveglio

"La sveglia, il tram, le quattro ore di ufficio o di officina, la colazione, il tram, le quattro ore di lavoro, la cena, il sonno…questo cammino viene seguito senza difficoltà la maggior parte del tempo. Soltanto un giorno sorge il ‘perché’ e tutto comincia in una stanchezza colorata di stupore." A.Camus

Era un po' che non scrivevo. Così come era un po' che non facevo un sacco di altre cose. Avere l'allergia ai platani per dirne una, oppure pulire le cozze, dormire accampato su un divano, cantare in strada o litigare con gente a caso. Certe cose un giorno le fai e quello dopo smetti, quasi senza accorgertene.


Per un motivo o per un altro, succede di mettere a dieta la personalità; di tentare, cioè, di soffocare quella nuvola di bisogni, pensieri, fantasie, vizi e schizofrenie che ti distinguono dagli altri. Il più delle volte, succede perché credi che siano proprio queste, le cose che ti impediscono di raggiungere i tuoi obiettivi. Altre volte, semplicemente perché non hai più il tempo di assecondarle. Allo stesso modo succede di stilare la lista delle priorità cui aderire assolutamente, ed elevarla a manuale pratico della felicità - che diviene quasi sempre solo più distante e sfocata. A questo punto, in genere succede che la pelle che indossi comincia a tirare, il culo si fa pesante, la schiena duole e il cuore perde qualche colpo. Nonostante tutto, succede di rimanere arroccato nella tua posizione, anche se forse lo fai più per la fatica di tentare una deviazione che per la convinzione di ottenere qualcosa perseverando così.

Succede ma non dovresti farlo succedere; a meno che tu non voglia trovarti a scoprire a tue spese le più sottili e variegate sfumature di termini quali stress o apatia.
Queste condizioni, per quanto più inerenti alla sfera psicologica e in particolar modo a quella fase speciale dello sviluppo umano che si chiama vita adulta - con tutta la valanga di luoghi comuni e cagate che si porta dietro - a mio modo di vedere hanno un corrispettivo cardiologico abbastanza eclatante.

Shahbudin H Rahimtoola, guru della cardiochirurgia, ha rivelato a noi poveri mortali che il cuore in condizioni di prolungata carenza di sangue e risorse energetiche, va incontro ad un fenomeno caratterizzato da perdita di contrattilità, definito "ibernazione".
Di primo acchito potremmo pensare che l'ibernazione cardiaca sia in realtà un romantico tentativo di fuggire dal ciclo infinito di contrazioni e rilasciamenti che ne scandiscono la grigia routine, ma - ahimè - le cose non stanno così. L'ibernazione del miocardio si verifica quando i vasi che ne perfondono le fibre sono quasi completamente chiusi e a malapena in grado di mantenere la sopravvivenza dei tessuti. Le cellule miocardiche cessano di contrarsi, generando un'inattività letargica a tratti indistinguibile da quella delle cellule infartuate, ed ugualmente in grado di compromettere la funzione della pompa cardiaca. Una vita di minima, insomma.

Rahimtoola fortunatamente ci insegna anche che questa deprecabile condizione è reversibile, almeno in teoria. Ripristinando un flusso coronarico idoneo infatti, il tessuto cardiaco riprende a funzionare in maniera corretta. Ciò che il guru non dice è come capire in quali casi il miglioramento della perfusione miocardica consenta l'effettivo recupero dell'attività cardiaca. Non sappiamo, cioè, quando sia effettivamente possibile salvare il miocardio ibernato dall'infarto - e quindi dalla morte.

Rahimtoola (al centro) all'uscita dall'American College of Cardiology dopo essere stato insignito del Lifetime Achievement Award
Con questa lunga metafora non voglio dire che avvicinarsi ai 30 anni sia come avere una stenosi serrata delle coronarie; piuttosto il nodo è attorno al cordone ombelicale da cui fino a poco fa succhiavi energie e fantasia. Un groviglio di impegni e stanchezza cronica che stringe alla base del mesencefalo, sopprimendo qualsivoglia attività cerebrale superiore e risparmiando solo quei nuclei basali che servono a mantenere il battito, la respirazione e poco più.
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Vi risparmio la lista di incazzature, sfighe e acciacchi degli ultimi mesi perché è una cosa triste.

Più dolce è invece lo scoprire che se il nodo si allenta un po', il sangue ricomincia a fluire resuscitando parti della corteccia cerebrale che non ricordavi nemmeno di avere.  D'un tratto ti risvegli dalla bara foderata di pensieri balbettati, pagine accartocciate e palpitazioni in cui hai dormito negli ultimi mesi, senza riposarti mai davvero.


Tornano il buon umore e l'ironia che se forse non bastano a dare un senso allo stare al mondo, quantomeno lo rendono un posto più decente. Abbastanza da non aver voglia di passare le giornate a lamentarsi sulla qualità del vitto dell'ospedale, di quanto sia tremendo vivere nella città in cui abiti o tutte quelle altre crociate inutili con cui hai sapientemente riempito il tuo poco tempo libero.

Fortunatamente viaggiando dritto per la tua strada, finisci prima o poi di incontrare una retta incidente. Una X indelebile sulla carta bianca dove hai scritto finora. Un colpo di scena che riscrive il copione del film, e tu non puoi far altro che recitare la tua parte. 
A dire il vero, se ti guardi alle spalle le croci segnate ormai non si contano più. Un cimitero a perdita d'occhio in cui riposano occasioni perse, amori finiti, amicizie interrotte e sogni svaniti. Monumenti funebri a qualcuno che sei stato, magari solo per qualche minuto, su cui lasciare un fiore o una risata ogni tanto. Rimangono lì, a ricordarti com'è che ti ritrovi sulla soglia dei trenta a scrivere cazzate la sera, e senza grosse paturnie. Rimangono lì, anche se te n'eri dimenticato o hai cercato di cancellarle.

Sbocciano i fiori, tornano i pollini e l'allergia assieme al primo sole che brucia sulla pelle, ed è tanto bello scoprire di non essere ancora diventato un vampiro anemico.

17 settembre 2016

Bianco/nero - Ciclotimia


Ho la sensazione che il mio lato creativo stia lentamente sfumando, così come l'attaccatura dei capelli. Ogni mattina ne abbandono qualcuno al proprio destino sul cuscino, così come si saluta un amico caro che decide di tentar fortuna altrove. Spagna, Francia, Cina, Inghilterra e Brasile, puoi fare il giro del mondo sfogliando la rubrica del cellulare che non squilla più. Al contrario la polifonia della sveglia ogni santo giorno ti strappa a sogni e a ricordi che rimangono sepolti tra le federe. Brandine di ospedale, divani e letti occasionali in cui dormi senza mai riposare davvero. Il sonno che diventa una costante, così come la fame. In fondo è tutta una questione di cibo: tu sei quello che mangi. Ormai sono fatto per metà di bocconi amari e per un'altra metà di ringraziamenti sinceri. Un altro cinquanta per cento è fatto di risate e ironia, ma i conti non tornano. Così come i quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di due - gli unici che vengono ancora a curiosare in questo deposito di parole impolverate. Uno sono io, e tu che leggi sei l'altro. Non ti ho scritto negli ultimi mesi, perché non avevo niente da dire. A te almeno. Oggi però c'è il temporale e la metereopatia muove le dita sulla tastiera assieme al malumore. Un elenco di parole che iniziano per mal: mal-essere, mal-inconia, mal-fermo, mal-destro, mal-pagato, mal-di-testa. Le tempie pulsano in preda al frastuono dei fulmini e dei giramenti di palle che lampeggiano alla finestra trasfigurando il paesaggio e il corridoio. Un tunnel tortuoso in cui la tristezza gioca a nascondino coll'allegria senza fare la conta. Bomba libera tutti. Liberaci dal male, dal peccato ma soprattutto dalle bombe e dai terroristi. Terroristi di Al Quaeda, terroristi dell'Isis, terroristi dell'IRA, terroristi dell'afa, terroristi del calcio, terroristi da esame, terroristi dell'ansia. Tutto il mondo sembra girare con le cinture esplosive pronte a farti saltare i nervi. La schiena si inarca mentre la muscolatura si contrae e le articolazioni scricchiolano sotto il peso di tanta negatività e stanchezza...Apri gli occhi ancora infilato nella tutina verde ormai elevata a pigiama ospedaliero ufficiale. Il corridoio comincia a riempirsi dei chiacchiericci del cambio turno infermieristico. Dall'avvolgibile filtra il celeste del cielo che si specchia nelle pozze color asfalto tutt'attorno al piazzale. La voce gutturale del vucumpra all'ingresso risuona attraverso il vetro. Buongiorno! Un aiuto, per favore! Il bicchiere delle elemosina vibra come una campana di Natale. Il sabato mattina ti regala l'allegria della festa, proprio come quella del villaggio di Leopardi. L'attesa del fine-settimana fuori distende i bronci e le rughe. Un esercito di guance scavate e denti caduti si risvegliano teneramente nel rapido giro visita delle 7. La vedova ottantenne al 32 ti stringe la mano al petto mentre chiede se hai la fidanzata. Il signore al 9 vuole assolutamente il tuo numero per portarti a caccia di quaglie o tordi o quello che è. Io però non ho mai avuto questa gran passione per gli uccelli. Sono sempre stato più interessato ai roditori. Le tope, ad esempio, le ho sempre trovate particolarmente simpatiche. La malizia a una certa età non fa più ridere, tranne quando è del tutto ingenua. Come me che ormai mi sono dato al fai-da-te, alle seghe, alle pialle e alla lavorazione del legno. Ho creato uno scaffale per la mia nuova stanza. Non te l'ho detto ma sono andato a vivere con due colleghe in una casa nuova e che ancora non racconta nulla di chi ci vive dentro. Anche se non ti dico più niente a me piace ancora scrivere. Butto giù quello che mi passa per la testa, senza filtri o nessi logici. Inseguo la difficile sensazione di essere libero anche quando non lo sei affatto - patendo come un cane quando invece la catena degli impegni stringe attorno al collo. Nella scrittura faccio quello che voglio. I periodi li inanello sulla suggestione di quello precedente. Potrà sembrarti una costruzione cervellotica, ma è proprio così che la mia testa funziona. Coi neri che si alternano ai bianchi senza soluzione di continuità. Si chiama essere juventino fin nel midollo oppure è semplicemente ciclotimia. Fai tu.



16 maggio 2016

Spesso il male di vivere ho incontrato - e sono scappato

“Quando l'uomo non ha sentimento di alcun bene o male particolare, sente in generale l'infelicità nativa dell'uomo, e questo è quel sentimento che si chiama noia”

In generale io mi annoio. Mi annoio forte.
Questo forse mi rende umano o semplicemente infelice, non lo so. Sul concetto di infelicità si può ragionare quanto vi pare, ma a dire il vero lo trovo assai poco interessante.

Per come la vedo io, dalla noia o si scappa o si muore.
Questa sentenza lapidaria non la intenderei però in senso letterale: A) perché non esiste un luogo in cui la noia non possa trovarti - e temo che questo valga anche per quegli anfratti di mondo per definizione allegri e spensierati quali i Caraibi, Legoland o le cosce di Emily Ratajkowski; e B) perchè la morte per noia - per quanto non contemplata dalla medicina moderna - è in realtà una condizione deprecabile e comunissima, che in genere richiede una vita intera per compiersi.

"Fuggire dalla noia" forse va inteso in un altro senso, qualcosa di più vicino a "cambiare". Quindi esci e trovati una nuova donna o casa, o divano, mestiere, compagnia, bar, drink, look, dieta, pizza, canale, piano tariffario, film preferito, foto profilo, cellulare, orologio, portafoglio, portafortuna, sigarette, aria...Insomma, cambia. Serve davvero? Mi sa di no, però magari un paio di anni li sfanghi e finisci pure col collezionare un sacco di aneddoti che puoi rivenderti al bar o sulla bacheca di FB.

"Dalla noia si scappa" però potrebbe anche essere interpretato come "tieniti sempre occupato": prova a diventare un felice e produttivo essere umano inserito in una sana rete di relazioni sociali e lavorative che occupano il 95% del tuo tempo quotidiano, non te ne pentirai. Si sa infatti che il lavoro nobilita l'uomo, e soprattutto lo rende troppo stanco per pensare - se si esclude il fantasticare sul weekend e sull'ora di andare a letto. Confesso di avere la netta sensazione che nel mio caso diventare adulto più che fornire risposte ai grandi dubbi esistenziali, si limiti al farsi meno domande. Il che suona un po' come dire "continua a fare cazzate, ma senza chiederti perché".
Dai retta a me, girare colla testa piena di "Chi sono?" o di "Cosa mi piace davvero?" non è roba da trentenni - non di quelli felicemente inseriti nel mondo, almeno. Io di anni ne ho ancora ventotto, il che se da un lato mi costringe ancora ad un biennio di seghe mentali e malumori, dall'altro forse mi lascia un'ultima chance di sfuggire al cinismo che pervade la matura età.

Non esiste scampo alla noia, dunque?
Il post cominciava con una citazione erudita, e si conclude con una più illuminante. La letteratura - in fondo - nasce proprio come risposta al nostro bisogno essenziale di svago.

"L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio."



Parafrasi: trova qualcuno che ti faccia ridere e, se ti riesce, tienitelo stretto.