21 giugno 2015

Il singhiozzo

Riprendo il regionale Pistoia-Pisa dopo oltre due mesi di totale astinenza da Trenitalia; tornano le mie due ore e mezza di musica e scrittura che dividono un letto dall'altro, gli amici dai colleghi, la famiglia dallo stetoscopio. Gli ultimi, sono stati 60 giorni di rottura - nel senso più distruttivo del termine. Sono andato giù fisicamente e psicologicamente. Tranquilli, non starò qui a tediarvi con la lista dei colpevoli o dei sospettati tali; sono stanco di trovare giustificazioni al mio umore o all'insonnia. La sensazione è quella di essermi ingozzato di stanchezza, malditesta e buoni propositi disattesi. Finalmente comincio a digerirli, ed è questo che conta - sebbene abbia il singhiozzo.

Le giornate da dottore si alternano alle serate da coglione col gusto prezioso di sentirti nei tuoi panni, in corsia come in piazza. Riscopri una curiosità negli altri e una fame di novità che non riuscivi neppure a scimmiottare fino a due settimane fa. Ritrovi il ruzzo di far ridere un paziente a letto o una ragazza al tavolino di un bar. Potresti chiamarla allegria, senza grandi approssimazioni. Quando d'un tratto ti fermi, perso dietro a quei momenti che sottili come spilli s'insinuano alla base del collo. Disperazioni leggere che riempono lo strato morbido su cui galleggia il cervello. Li chiamano disforie, disturbi dell'umore. Fluttuano e s'infrangono contro l'occipite, sciabottando mezzi pensieri e false speranze. Non è facile trovare qualcosa a cui aggrapparsi, e forse ci trovi anche un piacere tutto speciale a lasciarti sprofondare. Laggiù, sul fondo, nessuno ti rompe i coglioni di più di quanto non lo faccia già la vita. Ti senti così spento da provare pure un breve sollievo nell'ennesimo fallimento sociale. Una boccata d'aria tra un "come stai?" e "un bene grazie"; i cinque minuti di macabro desiderio che tutti spariscano. Ti ficchi le cuffie nelle orecchie e ti abbuffi di canzoni strane che piacciono solo a te - e che se così non fosse, con buona probabilità, neppure ne sentiresti l'appetito.
Poi, così come è arrivata, la marea si ritira lasciandoti nudo sulla rena a stendere i panni mezzi. Menomale che è caldo e la roba asciuga in fretta - specie colla compagnia giusta. Gli amici miei.

Sono reduce dal mio primo addio al celibato: 24 h di musica scassata, bottiglie vuote, andature a zigzag tra un piadinaro e un locale e tante - ma tante - risate. Buon tempo che scorre in un secondo, in spiaggia come in strada o in albergo; ed ecco che se le 4 ore di fila in autostrada fossero state 5, in fondo in fondo sarebbe stato meglio. Un tuffo nella fonte dell'eterna giovinezza - che non è il long island, ma la totale incapacità di prendersi sul serio.
Dio se mi mancava.

Vai in reparto col sonno ed esci fuori ridacchiando e col sapore buono in bocca di aver capito (quasi) tutto. Le porte della corsia si aprono e ti trovi l'estate, la moto e i vestitini corti che ti salutano sul viale alberato ancora soleggiato e verde. Accelleri fino a che la maglietta si alza e il vento ti scivola lungo la schiena sudata mentre l'acciaio del serbatoio ti sbruciacchia la pancia. I 120 all'ora senza guanti, giacconi o carene ti scuotono come una bandiera al sole.
Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica, e io non sono certo ricco - né mi sento tale. E così, per guadagnarmi un'ora di cazzate, devo sudare una giornata o una settimana. Sono così povero da non potermi permettere di assecondare i malumori o correre dietro ai sorrisi. Incastrare un umore malfermo in una tabella di marcia con ridottissimo spazio di manovra, non è roba da poco. Ci sono momenti neri, ma anche quelli bianchi scintillanti; l'importante è non dissolversi nel grigio della routine, scomparendo per sempre in quello che hai da fare, al punto da non sentire più la mancanza di quelle due o tre cose che credevi essere parte integrante del tuo essere te stesso. 
Questa cosa mi terrorizza al punto da farmi perdere il sonno - e non lo dico così per dire.

Ok, sto facendo il melodrammatico, non lo nego.