21 dicembre 2012

Io volevo essere Barry Lyndon

E' bastato uno sguardo al televisore ieri sera per ritrovarmi steso sul divano che non esiste più nel soggiorno della casa che non è più la mia: sono lì, a sognare ascoltando il nonno che spiega i retroscena di un film troppo bello per essere capito da un bambino - né forse sarebbe opportuno il mostrarglielo; da piccoli vedendo una pellicola con una persona cara si finisce coll'affezionarsi alle scene, impariamo a fischiettare la marcetta militare, chiudiamo gli occhi ogni volta per non vedere la pallottola che trafigge il protagonista, e ridiamo sempre quando il nostro eroe si batte a mani nude col colosso dai capelli rossi e questo accade nell'incoscienza degli intrecci della trama e di tutto il resto; da grandi si guardano i vecchi film e si scopre la magia delle celebri riprese al lume di candela, la colonna sonora perfettamente disegnata, ridiamo a denti stretti per la sottile ironia del narratore...e mentre cerchiamo di spiegare agli altri quello che ci ha emozionato - più o meno inutilmente a dire il vero - sprofondiamo nel nostro passato.

Ci sono pellicole meravigliose, ho passato anni alla loro ricerca e collezione; ma la verità è che un film è bello davvero solo quando le scene diventano un pezzo della tua infanzia, o un ricordo, una sera passata nudi sul tappeto di camera raggomitolati nel piumone strappato al letto per scaldarci, o un sogno, vivere una vita come quella disegnata sulla luce bianca dello schermo.
Barry Lyndon è uno di questi pezzetti del mio passato, forse quello più impolverato, ma non meno dolce. Mi manca mio nonno. Mi manca chi ero quando lo guardavamo. Mi manca il modo con cui guardavo il futuro da bimbo.
Credo o forse credevo di avere abbastanza sale in zucca e palle per fare quello che volevo della mia vita. Oggi faccio fatica a riconoscere il mio stesso naso sotto la coltre di vesti che la quotidianità ti costringe a portare. Ho ancora una ragazza bellissima che si scioglie al telefono in una cascata di riccioli mori e risate. Ho trovato un appartamento, una casa, piena abbastanza di gioventù liquida e di situazioni  da sollevarmi delicatamente dalle ore spese immerso in un ultimo anno di università altrimenti grigio, inesauribilmente grigio. Mi trovo proiettato in ambienti e situazioni mai vissute anche se già a lungo studiate sui manuali di medicina. Mi manca il sognatore incantato che passava i pomeriggi a fumare guardando fuori dalla finestra e rumoreggiava nelle notti preda dell'alcol e della frenesia. Ma soprattutto mi mancano nuovi ricordi.
La vita, ancora una volta, in questi autunni noiosi si incaglia e rallenta, nonostante il tempo corra veloce come sempre.
Domani ho il primo vero esame di questo ultimo anno, sabato 22 Dicembre: Neurologia...eppure io ora dovrei essere perso da qualche parte in Europa, magari a guadagnarmi da vivere come soldato o vagabondo e a conoscere il mondo di cui, pur essendo sempre lo stesso, ci dimentichiamo di quanto sia grande e quanto poco sia il tempo che ci rimane per scoprirlo.

4 ottobre 2012

Il primo giorno di Università arrivai tardi.



L’aula stracolma del Cubo, rigurgitava studenti da tutte le file, non un solo posto libero neppure tra le vecchie seggiole mezze rotte che chiudevano le due colonne di banchi. Il Chiarissimo Professore ammaestrava la folla in un’atmosfera di religioso rispetto per la cattedra e per l’inenarrabile valore che sicuramente lo stesso doveva possedere per trovarsi proprio lì in quel momento. Vertice di una meccanismo prestigioso cui solo i migliori ingranaggi venivano ammessi a ruotare. Medicina, l’Università. Mi sentivo imbarazzato per il mio ritardo, imbarazzato ed eccitato per quel momento di radicale novità. Ricordo che finito il discorso, mi sentivo già tagliato fuori dal gruppo, come se quei  10 minuti di ritardo fossero già un gap incolmabile di saluti e conoscenze…Non mi persi molto di animo, comunque.
In 5 anni non è rimasto pressoché niente di quel giorno eppure così straordinario. L’intelligenza dei professori è stata per lo più oscurata dalla loro indicibile bastardaggine agli esami o le loro bizzarrie, mentre la macchina universitaria non smette tuttora di stupire per la sua stupidità o ingiustizia. Le facce cambiano, ma non è l’età a trasformarle, semmai le mode del momento o ancor più i giorni fatti di esagerazioni e quotidianità. Ognuno ha trovato la sua bussola in quella selva di discorsi e leggende, di esami falliti o di festeggiamenti  gioiosi. Le facce allora tanto nuove adesso hanno quasi tutte un nome, e se ancora non ce l’hanno chiunque può suggerirtene uno – nonché raccontarti con chi è uscita, o che reparto sta frequentando. I dubbi su quale libro sia migliore per superare istologia, sono lentamente diventati quelli spinosi di a chi chiedere una tesi. Abbiamo girato ogni singola aula di una struttura vecchia oltre 70 anni, inciso i nostri nomi nel legno già graffiato di banchi logori, sbatacchiati qua e là in auditorium pieni di busti di celebri nessuno il cui nome abbiamo visto ogni tanto scritto accanto a quello di malattie o pezzetti del nostro corpo.
Che rimarrà di noi? Che rimarrà del mio passaggio qui?
Ho una valanga di aneddoti che cresce mano a mano che gli esami vengono spuntati. E come me, altri cento si portano a giro un patrimonio di ricordi allegri assieme ad esperienze tremende. Alle matricole, tutte queste informazioni potrebbero rendere le cose molto, molto più semplici.
Infine, ci sono le amicizie. Non so tradurre in parole quel che si prova dopo aver condiviso ore di studio chiusi in biblioteche e notti in strada a scoprire la vita notturna di Firenze e d’Europa…ma in fin dei conti è grazie alle lezioni di anatomia o di qualsiasi altra materia, che ho conosciuto le persone che hanno arricchito i miei ultimi anni. Non lo so spiegare, ma è bellissimo; e in tutta sincerità avrei voluto avere molte più occasioni di farlo.

È anche per questo che dobbiamo creare il WEI.

12 settembre 2012

Fuori le palle


Trovare buoni motivi per decidere di continuare è difficile anche per i più incrollabili ottimisti - e io razionalmente mi sono scoperto appartenere al partito d'opposizione - per quanto provi sempre più spesso attimi di viscerale gioia.

Costruirsi un futuro, sognare la felicità, stare bene nel farlo. La stessa cantilena di sempre, la soundtrack di un'esistenza intera: ultimo anno di medicina, pochi esami alla fine, una ragazza di cui sono chiassosamente innamorato e un nuovo appartamento a Firenze. Fino a qui sono sempre un figo, no?
Eppure prendere sonno la notte è difficile,la schiena si tende fino a dolere, il cuore bussa sul materasso come se davvero qualcuno potesse andargli ad aprire...non sto bene, non secondo i canoni di un Francesco di 23 anni o meno. "Cadiamo per imparare a rimetterci in piedi", siamo passati dagli aforismi di Nieztsche alle citazioni di Batman nel cercare un ispirazione in mezzo alle ore.
Ho riniziato a studiare, pensare, riscrivermi e rivedermi. E' sempre più difficile mano a mano che gli anni passano, ma quando le cose non vanno si deve cambiare. La nuova lezione è quella di imparare a perdere...ci sono cose contro le quali non c'è cervello e dedizione che tenga. Detto da uno studente di medicina suona quantomeno scoraggiante se non paradossale - in effetti non giova alla mia reputazione - ma non ho ancora imparato a vivere con la malattia. Evitiamo gli allarmismi, non sono io che sto male, se non di riflesso e di rabbia. E' la mia adolescenza che sta male, sono i miei giochi da bambino che soffrono, le stanze della grande casa del Bottegone che piangono nel silenzio della loro solitudine. E' un mondo di sogni e giochi che si rompe, lontano da occhi indiscreti e malelingue, ma soprattutto lontano sempre più da chi quel mondo lo ha vissuto nella convinzione del suo inesauribile amore. E' una bomba esplosa laddove stavano le riserve energetiche, anche se non lo avrei mai sospettato prima. E' la mia famiglia che sta male.

Le reazioni del Biagio, forte delle sue avventure, le donne, la media universitaria del 29, l'Erasmus, la macchina, la moto, la sfilza di amici, persone con cui uscire e la presunzione di sapere tutto o quasi...sono state, nell'ordine: 1 pretendere di andare via di casa 2 volere imporre la propria opinione alla propria famiglia stremata 3 chiudersi in se stesso senza parlare con nessuno 4 piangere - tanto, troppo, a tavola, al McDonald, alla tv, da solo, piangersi addosso 5 provare a rivedere le proprie posizioni, una su tutte l'idea di se stesso.

Motivi per continuare non ne trovo molti, in effetti, e per lo più sono frutto di ragionamenti vecchi, di Franceschi che più o meno non esistono più. La natura insegna che la forza - o l'intelligenza che dir si voglia - sta nella capacità di adattamento. Sto provando ad essere intelligente, a liberarmi di sogni del passato per imparare a farne di nuovi, sto provando a capire cosa rimane e cosa deve essere lasciato, a capire per cosa vale la pena stare male, se si può imparare a convivere con l'ansia e la paura.

Sto bene, o quantomeno sto cominciando a farlo e non ne sono mai stato sicuro quanto oggi.

4 luglio 2012

Lo sapete come ci si sente quando torna a scorrere il sangue caldo nelle vene che non più di due mesi fa avresti giurato secche?
E quando la pelle si distorce ancora, tira e si piega, si solleva a mostrare l'avorio di denti che non vedevi più ammiccare dallo specchio da non ricordo più quanto tempo?
E che dire del ridere chiassosamente, da soli, davanti al niente che non sia un frutto malato - ma felice - della tua mente?
La risposta è: ci si sente bene.

Nel viaggio infinito alla scoperta del numero di cazzate che l'individuo non affetto da vizio di mente riconosciuto può compiere rimanendo tale - da qualcuno chiamato gioventù o vita - ho finalmente ritrovato il buon umore e la forza necessari a commettere un altro milione di errori. Perdonate la malcelata soddisfazione con cui riporto questa insulsa notizia, se così la si può definire, ma stasera sono contento, e per me non è poco.

La notizia per altro necessiterebbe di una spiegazione valida ma al momento mi trovo nella condizione di impossibilità di fornirvela.
Sappiate solo che c'è di mezzo l'estate e il buon tempo imperante, la fine vicina dell'asfissia da esami e di tirocinii bulgari, e la felice novella della Fanciulla che torna dalle terre del freddo a scaldare un povero squilibrato ancora innamorato.

Yann Tiersen - Le Jour De L'Ouverture

8 maggio 2012

Amarcord


A volte rimanere coerenti con la propria mente significa chiudere il mondo fuori per non lasciare che neppure un volto o una parola turbi la nostra risoluzione. Finchè poi un giorno non ti accorgi che fuori dalla tua impenetrabile scatola di cartone non c'è altro che il vuoto. Essere soli, o meglio, il sentirsi tali, è una condizione nella quale non c'è idea o aspirazione che tenga.
Cambiano la stanza, le strade e le facce che abitano il mio tempo.

C'è stato un giorno in cui i motorini fuori dalla grande casa Biagini erano sì e no quindici, e aspettavano almeno altrettanti ragazzotti tutti affannati a correre dietro alla palla di cuoio, tra una parolaccia e una risata. Giocavamo contro una porta semplice: due lunghi tubi metallici provenienti da qualche vecchio scarico disegnavano il palo di destra e la traversa, mentre uno dei sei grandi pini si ergeva a mò di legno di sinistra. A ogni tiro la palla finiva oltre la siepe di lauro che abbraccia il giardino su due lati, ed ecco che l'improvvisato Del Piero o Ronaldo di turno scavalcava l'apertura nella recinzione metallica per tuffarsi nel mare di gran turco a ripescare l'insostituibile sfera. E' stato così che ho scoperto di essere allergico alle graminacee.
In dieci anni la spesa per i palloni persi non dev'essere stata tanto discrepante da quella bruciata nel fumo del tabacco.

C'è stato un giorno in cui la sedia blu con le ruote, vorticava su e giù sul parquet della mansarda mentre scoprivo un Best Of dei Beatles o i Greatest Hits dei Queen. E c'erano le due audiocassette di the Delicate Sound of Thunder dei Pink Floyd, o della Studio Collection di Battiato che giravano e rigiravano nel vecchio stereo Philips, alternando lato A e lato B senza sosta. C'erano gli angeli sulla cover di Pensieri e Parole che riposavano tra il cassettone e il comodino. Francesco de Gregori che cantava senza sosta dalle due alle nove del pomeriggio, il mio.

C'è stato un giorno in cui appendemmo il tiro a segno troppo lontano e finimmo per sforellare l'intero armadio di camera mia...almeno finchè non scoprimmo che le freccette attaccavano anche direttamente sul muro se lanciate con sufficiente forza.

C'è stata una collezione di videogiochi e guerre, botte da orbi e sfide allo schermo. Ci sono stati Batman e Robin, Spiderman e Venom, ll Power Ranger Rosso e il Nero...Essere il minore significa non poter mai vestire i panni del personaggio più figo, ma io ho giocato con tutto, con Fede.

C'è stata la prima volta che ho scoperto l'amore, sul letto verde che aveva ancora le coperte di Topolino. La betulla in mezzo al giardino, accanto alla fontanella di ghisa verde e alla piccola aiuola che chiude il cortile della casa con l'aia, porta ancora inciso il nome di un Francesco che non c'è più se non in qualche foto chiusa in un cassetto o sepolto in un buco troppo profondo per poterlo andare a ripescare.

Ci sono stati tramonti indimenticabili che non ricordo, colla sigaretta in bocca a contare le nuvole e ad ascoltare pensieri e sogni che volavano dalla finestra.
Se chiudo gli occhi mi vedo ancora lì. Se li apro non ci sono più.


2 aprile 2012

Darwin

Ho riscoperto il mio amore per la guida. Io, la macchina, l'ipod e la strada. Una di quelle poche situazioni familiari che descrive la tua esistenza nel riposo, in tranquillità. Mi piace cantare al volante, lo faccio dai 18 anni, dalla patente. Sono esercitatissimo. Ormai le serate karaoke sono diventate un must, nonostante la prima volta sia salito sul palchettino di un locale sia diventato tutto rosso e abbia perso di botto la voce e l'intonazione (nonchè la dignità e la spavalderia). Mi piace cantare De Gregori, di lui ho già scritto, l'unico autore che ha colto riflessi e colori che giurerei di aver visto da dietro i miei stessi occhiali...vorrei aver imparato a suonare una chitarra e a mettere in rima le mie idee. Adoro l'indie rock degli anni 2000, quello della mia generazione, inizialmente ignorato e sconosciuto e oggi giorno (ahimè) abusato e sbandierato dalle magliette anche di chi nel lontano 2001 (anno di pubblicazione di Is This It degli Strokes) era ancora tutto perso dietro Gigi D'agostino, Eminem, Britney Spears e tutta il resto della merda musicale con cui ci hanno torturato (e continueranno a farlo in eterno) le nostre radio. Adoro le sperimentazioni elettroniche e la musica intelligente, quella che non si balla per forza o si canta nei club, i nuovi generi che quotidianamente vengono introdotti nel panorama internazionale senza che nessuno all'ombra delle Alpi sembra accorgersi. Mi nutro di Radiohead e bevo Pink Floyd. Se potessi, farei di Up Patriots To Arms di Battiato un manifesto politico. Mi piace quello che mi piace, frase stupida ma non scontata, dettata dalla sensazione che troppo spesso piaccia ciò che piace ad altri. La mia macchina è il mio palcoscenico, il mio metro quadrato di libertà e di sollievo. Non posso imporre agli altri il mio gusto, nè fare mio il loro; un concetto decisamente più chiaro di mesi fa, ma ancora non poi così tranquillizzante. Mi sento diverso come sempre, ma ho visto per una volta le mie idee e posizioni sotto una luce nuova anche se forse intuibile già prima di partire/scappare.
Cose come normalità e stranezza sono puri concetti statistici basati sul numero variabile di individui attribuili alla prima o alla seconda categoria. Non so scoprire, per quanto mi sia sforzato, quale forza attragga i singoli soggetti verso l'una o l'altra via, ma quando i numeri cambiano vi assicuro che il mondo appare completamente invertito. Sono giunto alla conclusione - forse un po' banale - che chi si sente adeguato nel suo mondo, il paesino del Bottegone, la cittadina di Pistoia o il capoluogo fiorentino, ha raggiunto un livello di adattamento tale che sempre gli sarà difficile aderire ai modi e ai costumi di altri luoghi, terre, regioni, nazioni. Per questo chi ha saputo adeguarsi al proprio luogo tenderà sempre a rimanervi o a ritornarvi, creando e rafforzando lo stile e la mentalità che maggiormente aderiscono a quelle di chi, come lui stesso, vive e definisce quella stessa parte di mondo, e lo farà serenamente, senza dubbi o eccessivi aggrottamenti di sopracciglia o incomprensioni. La conseguenza di questi due concetti apparentemente slegati tra loro è una soltanto: essere chi vuoi essere, o più semplicemente chi sei, e magari stare bene nel farlo, dipende da quanto sei un disadattato e da chi hai intorno. Io sto bene in un posto grande, con tanta gente e poche posizioni fisse, poche idee predefinite sul come fare le cose o vestirsi; ergo io non sono adatto a vivere a Bottegone, a Pistoia o a Firenze; ma al contempo coloro che lo sono, molto spesso non sono in grado di apprezzare il restante mondo, se non nella misura in cui quest'ultimo è effettivamente simile al luogo in cui sono adattati e divenuti contenti. E questo ovviamente vale per la Toscana, ma a ben vedere anche per qualsiasi altro luogo sul pianeta. Io però non avverto questo disagio nella mia macchina, nella mia stanza, nelle piazze piene di turisti e in vacanza.
Credo ci sia una verità più profonda dietro tutto questo artificioso giro di parole, ossia che alla fine si possa trovare il modo di adattarsi a vivere in un posto anche canticchiando in macchina, svuotandosi lo stomaco da tutto il brutto che ogni giorno mangiamo stando a giro, e riscoprendo il bello, il nostro e il vostro; io stesso devo essere tanto brutto agli occhi di molti e mi dispiace se i miei discorsi - così come i vostri agiscono su di me - vi infastidiscono e vi fanno perdere di vista ciò che siete e che amate, se non per metterlo a confronto/scontro con gli altri. Basta scontri o litigi, e se proprio ci devono essere, laviamoci colle voci e le chitarrre, i pianoforti e i sintetizzatori. Esiste un posto per cui ognuno è adatto, ma se non lo trovate magari saremo in grado di essere felici un po' ovunque.
E ora, alla fine di tutte queste sibilline elucubrazioni dal gusto tristemente post-adolescenziale, vi lascio con una canzone, tutta per voi e per il vostro mondo

22 marzo 2012

Felicitá

Una cosa che credo di aver capito come vera è che la felicitá non nasce dalla nostra idea di ciò che è perfetto, dall'idea di bene e di buono. Non viene negata dalla tristezza o svelata dall'allegria. Non coincide colle nostre ambizioni o i sogni. Ogni giorno vedo sgretolarsi sempre più la mia idea di famiglia perfetta che mi ha coccolato per tutta la vita, sento sbriciolarsi la sicurezza della casa e la protezione dei miei genitori, del mio stesso sangue. Vedo la malattia crescere in chi amo, la sento fredda accanto a me. Trovo problemi che non hanno soluzione, e domande cui forse una risposta non c'è. Piango mentre scrivo. Ma io sono felice.

18 febbraio 2012

Hey Moon

Scaricare sugli altri la responsabilità del proprio malessere sembra essere lo sport nazionale, ed in questo senso io potrei essere davvero il campione d'Italia.

Qui nella terra del gelo e della birra è difficile ritrovare quella esuberanza che si celava dietro ogni mio gesto fino a non più di 2 mesi fa, e mi faceva guardare con disprezzo e irriconoscenza alla vita passata, a casa. Molte cose sono cambiate ultimamente: il ritorno natalizio in Italia mi ha sconvolto. Un misto di senso di colpa, ansia e paura per il futuro che mi ha letteralmente reso insopportabili le mura casalinghe; non è molto mascolino l'ammetterlo, ma ho passato metà delle mie giornate a piangere. Non riuscivo a trovare un solo buon motivo per tornare, una sola cosa bella per cui valesse la pena riprendere la vita da dove l'avevo troncata il 27 Settembre scorso. Annegato nel mio lago di commiserazione e rabbia verso cittadini e università connazionali, sono caduto nel più detestabile degli errori: il pessimismo; disturbo che mi sono portato dietro con me fino alla casetta rosa di Husitska 65. Che il bicchiere possa essere mezzo pieno o mezzo vuoto lo sanno tutti, quello che il detto non dice è che con lo stesso identico bicchiere in mano, a seconda di come lo si guardi puoi essere il ragazzo più felice di tutta Praga o il più lamentoso. Sveglia alle 7 per quasi tre mesi e mezzo - ho frequentato più corsi quaggiù che in cinque anni di università fiorentina - un freddo glaciale da fare gioire quando il termometro riporta temperature superiori ai - 10, e poi ansia da esami, come non ho mai avuto, come non è giustificabile avere in Erasmus. Ho passato i primi giorni di questo 2012 a lamentarmi di quello che avevo da fare, a guardare con rabbia e invidia a chi non era appesantito da tali obblighi e che nonostante ciò non si divertisse affatto, a puntare il dito contro ogni possibile fattore che avesse sconvolto il mio mondo di Erasmus, altrimenti perfetto.
Mille esami e con un biglietto di ritorno in mano, nel vuoto del bicchiere ciò che rimane è amarezza e coscienza della mia immaturità.

Dopo tanto accorati chiarimenti sul brutto di questi giorni, credo sia ora di parlarvi del bello: se guardando indietro al recentissimo passato scorgo un po' di rimorsi per le esagerazioni mancate, le feste abbandonate troppo presto, le persone rimaste sconosciute per troppo tempo e una certa invidia per chi si è divertito con più ragazze di me (ghgh), quando volgo lo sguardo a chi è qui accanto a me, tutte le pecche svaniscono in una nuvola di ricci neri. Perchè vedete, qui accanto a me c'è la Luna, il mio tesoro scovato nella città d'oro e delle cento torri.
Ogni ragazzo, in preda ad un po' di vergogna nei confronti degli altri giovani single incalliti, vittima di eccessiva presunzione e orgoglio per la propria salvezza dalla solitudine, ma anche un po' sinceramente felice e rapito dagli occhi di lei, parlando della propria ragazza e della propria relazione finirà sempre col dire le solite cose, e cioè che lei è perfetta, che la loro storia è diversa, che loro assieme si divertono tanto, che da quando l'ha conosciuta ogni cosa è più bella...Io non voglio questa ostentazione di chissà quale gloria, non me ne frega niente di esporre il fianco a complimenti o a prese per il culo. Lei è cosa mia, non è questione che deve essere sbandierata qua e là, se scrivo di lei è solo per riconoscenza, ed è a lei che rivolgo queste parole.
Hai visto il peggior Francesco, egocentrico, testardo, piacione, lamentoso, astioso, pessimista, ansioso, cialtrone, parolaio, immodesto, continuamente ubriaco e, perchè no, anche ingrassato...e l'unica cosa che hai fatto è stato stringerti attorno a me e prenderti cura dei miei deliri. Ho sempre pensato che la mia vita fosse speciale, ho sempre cercato di seguire trame invisibili che mi portassero fuori dalla banalità della routine e che mi facessero scoprire i segreti del mondo...adesso sento che ciò che rende fuori dal comune questo periodo, sei tu. La promessa di migliorare, di crescere, è continuamente abusata e immancabilmente fallita...io ti dico solo che ho paura di perderti e di deluderti.
Sarà qualcosa nei miei occhi, nella mia testaccia, oppure è qualcosa sulle tue labbra, nel tuo sorriso, qualcosa che scivola sulla cascata dei tuoi crini mori...o magari tutte queste cose assieme, ma io sono felice, con te.


Scaricare sugli altri le responsabilità del proprio malessere è odioso e facile. Rendere grazie per la propria felicità spero risulti un po' più dolce.