5 settembre 2013

Dio è morto.

Dio è morto: non dico niente di nuovo; è sotto gli occhi di tutti, anche se molti non riescono a vederlo. Non era così evidente quando Nietzsche lo profetizzava, infatti lui era un figo.
C'era un mondo in cui ogni uomo sapeva che non si poteva sapere tutto. La Bibbia spiegava abbastanza - o quantomeno ci provava - da poter vivere sereni; a tutto il resto ci pensava il timore di Dio. Il gregge del Signore cresceva e si moltiplicava in un recinto che dava un senso alle misure. A quel tempo grande o piccolo, bello o brutto, giusto o sbagliato, avevano caratteri precisi. Mi spiego meglio: mentre la morale cristiana - tuttora valida seppur immancabilmente inattesa - continua a definire per i credenti cosa sia il bene o il male, un tempo la fede includeva anche un concetto predefinito di grande o di piccolo, e anche di bello o di brutto, così come di vecchio o di nuovo e via dicendo. Quando la maggior parte delle persone crede qualcosa o vive come se lo facesse - che anche se non sono la stessa cosa, il risultato non cambia - le loro idee di giusto, di grosso e di rotondo, di malato e di verde, diventano concreti paragoni contro cui tutto si confronta. Con un punto di riferimento immobile e indiscutibile - in questo caso Dio - era facile dare i nomi alle cose...e ancora di più definirne le qualità. Non so dire quand'è che Esso sia venuto meno, e sinceramente il mio scopo non è scoprirlo. Fatto sta, che quando i pazzi sono diventati più numerosi dei sani,  le camice di forza hanno cambiato braccia. E' una mera questione statistica: è la vittoria del relativismo, un relativismo molto umano. Esempi: l'arca di Noè doveva essere sicuramente molto grande, per non parlare del monte del Purgatorio o dei sette cieli...però, diciamocelo, non costituiscono esattamente l'attuale esempio della possenza o della magnitudine. Allo stesso modo il diavolo o la morte devono essere molto brutti, tant'è vero che nessuno se li tatuerebbe sulle braccia o le utilizzerebbe per grafiche stampate su zaini o t-shirt (per non parlare di alcuni pazzeschi protagonisti di romanzi o film). Era un universo finito, ordinato e accessibile, attraverso la fede. C'era sempre un massimo, un migliore, un perfetto...Dio. Il mondo si è retto su queste misure certe per millenni.  Senza scadere nel banale, riflettiamo un momento su Adamo ed Eva e sul diabolico serpente. Alla luce dei ritrovamenti di Lucy (il cui nome deriva da una canzone dei Beatles, per chi non lo sapesse...e pensare che molti si arrabbiarono quando Lennon ammise che erano più famosi di Gesù!) e tutti gli altri australopitechi, credo si possa candidamente affermare che la Genesi sia una risposta sbagliata alla domanda "Da dov'è che veniamo?". Prima però non era lecito, né accettabile il porsi il quesito - e probabilmente vivevano tutti più tranquilli. Il fatto che la storia dei primi due amanti possa ancora fornire un insegnamento etico, non è argomento di discussione.

Dio è morto, e con lui tutti le altre divinità, gli ideali morali e spirituali; hanno lasciato un buco che  - seppur non sia stato riempito nel modo con cui Nietzsche auspicava - ha permesso il libero sfogo di noi esseri umani e finiti.

Ognuno di noi ha oggi la responsabilità di capire cosa sia grande o piccolo per sé stesso; tanto più quella di scoprire quale sia la propria idea di bello. Notare che responsabilità non implica che se qualcuno disattende tale richiesta, finisce dritto all'inferno. Anche l'inferno direi che è sostanzialmente morto. Credo che la responsabilità stia nel dover realizzare quello che il tuo cervello, influenzato dall'ambiente e dalla tua naturale inclinazione, ritiene essere giusto o sbagliato. Si tratta di un dovere che abbiamo verso noi stessi e la nostra natura, qualunque essa sia, pena l'infelicità - o peggio, l'indifferenza. In questo senso la morale cattolica, o buddista, o di qualsiasi altra ispirazione, non perdono di valore in senso stretto, semmai di universalità e di assolutezza in quanto non più riferibili a tutti noi. Il Vangelo resta un bellissimo esempio di virtù morale. Se tutti quanti ne seguissimo l'esempio, il mondo sarebbe un posto migliore; è ovvio anche per me che non faccio fatica a professarmi ateo. Questo infatti prescinde dal ritenere che effettivamente quel ragazzo morto sulla croce sia resuscitato o meno. Ama il prossimo tuo come Io ti ho amato - e cioè al punto di farMi ammazzare per te -, direi che non fa ancora una grinza come ragionamento.

Arriviamo adesso al punto centrale di tutto questo panegirico: chi ha riempito il buco di divina fattura? Molto semplice, la gente. Se ci fermiamo un secondo a pensare allo scopo di Facebook, delle trenta t-shirt, delle venti paia di scarpe, del diploma, del dvd del Titanic o di Pulp Fiction, dell'album degli Ac-Dc o di Britney Spears, di aver studiato 30 anni o lavorato altrettanti, di aver bevuto ettolitri di Coca-Cola o di Birra, della dieta o della palestra, del televisore da 50 pollici e della Mini Cooper...di quante possiamo giustificarne l'esistenza con un "perchè è necessario al mio modo di essere". Sembra una banalità, ma non lo è assolutamente: col mondo ci si confronta. Il non me ne frega niente di quello che gli altri pensano di me non esiste, è una cazzata. Tu sei e sarai sempre te stesso in funzione degli altri. Nell'incontro e nello scontro. Nessun uomo è un'isola. Tu non sei così perché ti ci hanno fatto, tu sei quello che fai, il modo in cui ti muovi e decidi. E questo si embrica in un gioco immenso di modelli e contatti virtuali, reali o televisivi che ti lega a tutto il resto del pianeta. Alla luce di questo appare molto difficile trovare valide scuse al fatto che sembriamo essere tutti uguali
Chi è la gente quindi? L'ambiente e la società con i suoi costumi e pregiudizi, suona un po' semplicistica come risposta. La gente è anche e soprattutto il sottile meccanismo con cui le mode e le idee si inculcano nella nostra mente...e quest'ultimo ha un nome preciso: marketing. Dio è morto, e al suo posto abbiamo eletto il consumismo più sfrenato. Un consumismo tanto materiale quanto intellettuale e spirituale. Non c'è un giudizio morale in questa mia affermazione.
Come in ogni epoca, ci sono persone capaci di sottrarsi a questo giochino diabolico, la cui personalità si esprime violentemente imponendosi sul resto della popolazione. Direi che mai come oggi ci è data quest'occasione di realizzazione come individui! Se non altro perché non rischi di finire arso vivo nel tentare...anzi, piuttosto ti staccano un assegno da qualche milione di dollari, se ci riesci. Certo, questa forma di vittoria è ben lontana dal superuomo - o Oltreuomo - tuttavia si sovrappone ad esso nella misura in cui quest'ultimo riesce a far coincidere la volontà del destino - o in questo caso della gente - con la propria.
Dobbiamo aspirare a questo? Beh se il discorso si limitasse all'imposizione sugli altri del proprio gusto musicale o nel vestirsi, probabilmente la risposta sarebbe no. Se però stessimo parlando di insegnare al mondo la propria idea di bello, o di grande, o di giusto direi che cominciamo ad avvicinarci all'obbiettivo. Galileo, Einstein, Picasso, Dalì, Gandhi e mille altri (anche se mille sono tristemente pochi) si sono avvicinati a questo. Gesù c'è indubbiamente riuscito, anche se magari la Chiesa non ha esattamente fatto propri tutti i suoi insegnamenti. In questa chiave, penso che anche figure come Hitler o Stalin abbiano raggiunto questo traguardo, seppur in un modo del tutto deplorevole e con i mezzi più abominevoli. Un ultimo esempio banale e molto limitato nel tempo ci è fornito da Steve Jobs: con le sue idee rivoluzionarie in fatto di estetica e di prestazioni, ha imposto uno standard, più o meno universalmente riconosciuto, nell'ambito dell'informatica e della telecomunicazione. Il suo iphone, a 5 anni dal suo lancio, è ancora l'incarnazione del concetto di telefono. (Un po' come Giuda col suo tradimento è stato la quinta essenza della bastardaggine per un paio di millenni...ma erano altri tempi.)

Arriviamo ora alla conclusione. Cosa implica l'assenza di un Dio - buono o cattivo che sia - che ci guidi e ci insegni dove sta il sopra e il sotto? La libertà. Anche in questa affermazione non c'è alcun giudizio etico. Un tempo si nasceva, si studiava o si lavorava, ci si sposava, si faceva dei figli, gli si costruiva una casa, si insegnava loro un mestiere e quindi si moriva nella speranza di una vita nell'Aldilà. Che si vivesse o meno secondo i dettami della religione era una scelta individuale, ma inevitabile: o si campava nel terrore dell'inferno, rigando dritto fino alla tomba, oppure si peccava bestemmiando e divertendosi. Questi sono due estremi ovviamente, ma il punto è che in entrambi i casi ci si scontrava necessariamente con un sistema definito e ordinato di regole e di precetti: l'idea di bene di stampo religioso o filosofico. O si aveva fede nel Signore e se ne seguiva il modello, o no, e se ne pagava - o godeva - le conseguenze. In un mondo ordinato secondo Dio, ossia un principio universale e perfetto, non c'erano alternative.

Oggi quasi nessuno, almeno della mia generazione, conosce più certi problemi. Magari non bestemmiamo (anche se solo per pura superstizione), così come non pecchiamo nel senso biblico del termine...eppure chi può affermare davvero che la nostra vita si esaurisca nella propria dedizione al Signore in vista di un bene superiore? Ci sono altri modelli da seguire, accettati dalla società, imposti dalla gente. Alzi la mano chi ritiene che non fornicare prima del matrimonio costituisca una buona regola di vita! V'immaginate sposarsi e poi trovarsi male a letto colla propria moglie? Assomiglia più o meno alla ricetta dell'infelicità. Il mondo dove siamo cresciuti noi non ha un recinto definito, né tanto meno un occhio che ci guarda dall'alto minaccioso. Noi non viviamo nel terrore di Dio, né sulla scia della sua promessa di una vita eterna per cui sacrificare la nostra. Certo, c'è a chi piace pensare di essere buono abbastanza per il Paradiso, e magari anche chi lo è davvero...ma ormai la loro fede ha perso quella forza di legge divina che prima sottometteva tutti quanti. Questi ultimi cristiani comunque, con una buona approssimazione, sono persone buone. E non è cosa da poco.

La libertà, intesa come l'assenza di un termine di paragone assoluto, ha un prezzo molto caro. Trovare la propria strada è diventato difficile. Messi davanti alla possibilità di scegliere qualsivoglia carriera, o donna, o canzone preferita etc. andiamo tutti più o meno in crisi. Ed ecco che scegliamo l'università basandoci più sull'idea del guadagno o del prestigio presso la gente, che sull'attenta scoperta delle nostre inclinazioni: quest'anno saranno oltre 2500 i ragazzi che affolleranno i banchi del test di medicina a Firenze, e credo sia lecito il domandarsi quanti abbiamo ricevuto il fuoco sacro di Ippocrate - e il perché il loro numero aumenti di anno in anno. Allo stesso modo il divorzio è diventata ormai una fisiologica fine di un amore. Per lo stesso motivo, belle bionde americane, che non sanno scrivere tre versi in rima, vendono milioni di copie di dischi - anche in paesi in cui nessuno capisce il testo. Mancando un idea assoluta di buono o di bello, ci si appella a qiella più condivisa - che spesso non coincide con la più condivisibile. Affidarsi alla gente è la soluzione più facile. Adesso abbiamo il Dio gente, che ovviamente di divino non ha proprio nulla. 

Ci sono però creature troppo fragili per poter sopportare questo mondo troppo grande da capire, e privo di una mappa. Anche loro tristemente crescono nel numero di anno in anno: sono quelli che chiamiamo pazzi, sciagurati, drogati, barboni, ritardati etc. Persone che non riescono a decidere per sé stessi, né a vivere secondo i costumi di una società a tratti obbiettivamente irrazionale. La dolce parabola dell'essere fighi ad ogni costo, ricchi e famosi...riscalda i cuori dei più ma chiude per sempre quelli degli altri. Non è un caso che i farmaci di gran lunga più prescritti al mondo siano ansiolitici e antidepressivi. Un tempo era la peste nera a mietere il gregge del Signore, oggi ci pensa la depressione. Ovviamente non tutte, ma buona parte di queste creature un tempo sarebbe riuscita ad avere una vita dignitosa, nel senso cattolico del termine. Il lavoro te lo trovava il babbo, la moglie te la raccomandava il prete, i figli più o meno li facevano tutti, anche perché c'era bisogno di braccia per lavorare. Sì, qui c'è un giudizio morale: la morte di Dio ha creato una selezione innaturale dei più fragili, che non sopporto. Nonostante m'ingozzi quotidianamente a questo buffet apparecchiato che è il mondo e sia quindi il meno indicato per dire certe cose, ho conosciuto sulla pelle della mia famiglia la sofferenza che crea il non riuscire a coincidere con i dettami del Dio gente. Creature interrotte, sospese in un limbo di pensieri e di sogni, sempre più impolverati col passare degli anni, costrette a ritagliarsi fette di pianeta sempre più piccole per poter stare bene. Mi rendo conto di partecipare io stesso a questo malefico gioco delle parti, essendo anch'io un pezzettino della gente. E sinceramente odio tutto questo. Non ha comunque senso il soffrirne. Semmai davvero dovrei impegnarmi per trovare il modo di cambiarla.

Siamo liberi di scegliere quello che vogliamo, e finiamo quasi sempre per farci del male o per fare come gli altri, a volte entrambe le cose. Eppure questa è la nostra occasione. Probabilmente l'ultima. 

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