11 gennaio 2015

Il Nido del Cuculo



Parliamo di normalità.
Questo argomento mi è molto caro, per non dire che è diventato un'ossessione negli anni. Originalità, critica del senso comune, abolizione del concetto di gente...sono tra le poche idee in cui credo fermamente. Tuttavia, oggi vi risparmio il pippone autocelebrativo su quanto io possa essere bravo a sbattermene di tutti o a inventarmi un guardaroba fuori dal coro.

Vorrei invece parlarvi di normalità in un senso più preciso, almeno apparentemente, ossia quello medico. "Come fa un dottore a dire che un tizio sta bene? Voglio dire, decidere se uno è malato, è facile...ma come decide il medico chi sta bene?"
Il Dott. Biagini potrebbe rispondere citando le definizioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità di salute e di malattia che sono assolutamente condivisibili e rincuoranti - nonché un tantinello comode.
Io sinceramente la penso un po' diversamente però.
Premetto che fare un discorso generale su qualcosa di inverosimilmente complesso come la salute, fa dire delle cagate anche al più accorto dei professoroni...e di conseguenza mi limiterò a fare due esempi.
  • Numero 1: per dire che un cuore è malato, nel 99% dei casi è sufficiente fare un esame obbiettivo, un ecg, un'ecocardiogramma e un paio di esami del sangue. Se questi  parametri sono alterati, verosimilmente c'è qualcosa che non va.
    La domanda logica che segue, è "Chi ha deciso i valori di riferimento che indicano una possibile malattia?" l'osservazione empirica e, soprattutto, la statistica. Esempio: il 99% dei soggetti senza malattia coronarica ha valori di troponina I inferiori a 10 ng/ml, per cui avere un valore superiore è probabilmente dimostrazione di cardiopatia ischemica; se poi prendiamo la mortalità di tutti i soggetti e vediamo come varia in funzione della troponina I, ci accorgiamo subito che coloro che presentano valori alterati muoiono molto prima di quelli con valori normali. Chi è che sta bene? Chi ha valori normali - con pochissime eccezioni.
  • Numero 2: Per dire che una mente è malata, gli esami di imaging e di laboratorio ci aiutano solo ad escludere una causa organica (per lo più una lesione cerebrale o uno squilibrio ormonale) e quindi ci si basa sostanzialmente sui sintomi, che non possiamo misurare come gli enzimi, ma che possiamo appioppare - con una discreta approssimazione - alle persone.
    Anedonia, disforia, irritabilità, distimia etc...una lunga serie di parolone per descrivere comportamenti ritenuti non normali (in quanto le persone sane, statisticamente, non li mostrano e soprattutto, non te li raccontano). Dovrebbe essere chiaro già da adesso che qui la decisione su chi sta bene e chi sta male, comincia ad essere molto più sfumata.
Gli anglosassoni sono molto pragmatici - è la loro forza - e a questo tipo di problematiche rispondono sempre con un bel questionario dicotomico. Ne esistono centinaia, eppure le risposte si limitano quasi sempre a sì/no. Dormi bene? Pensi mai alla morte? Credi di essere meno felice degli altri? Sulla base delle risposte si calcola poi un punteggio - anch'esso validato da centinaia di migliaia di soggetti sani o malati - che ci dice se quella persona ha una malattia o meno. Il che, in soldoni, si traduce poi in prescrivere una terapia o no. E qui si apre un altro problema, o meglio, una voragine. Eh sì, perchè quasi sempre questi farmaci hanno un effetto sintomatico, ossia non curano la malattia ma si limitano a ridurne i sintomi.
Se avete seguito il ragionamento, avrete anche capito che se un paziente non presenta più quei sintomi (o comunque vengono attenuati) evidentemente il punteggio ottenuto al questionario che mi ha portato alla diagnosi, cambierà...per cui io, medico, potrei anche dire di averlo curato (o di averlo intontito al punto giusto).

Le soluzioni che oggi offre la psichiatria sono a mio modo di vedere inadeguate. I farmaci antipsicotici, alcuni antidepressivi e gli stabilizzanti dell'umore sono tra classi di farmaci più sporche (nel senso che non funzionano su un solo recettore, ma hanno miliardi di effetti diversi), tanto è vero che vengono prescritti in mille patologie diverse - e talvolta cercando di sfruttare quello che viene considerato un effetto collaterale, e non quello principale. Questo lo dico a dimostrazione che, in buona sostanza, non solo sappiamo pochissimo di come funziona la mente umana, ma che oltretutto "ci divertiamo" a dare sostanze senza poter sapere davvero il loro effetto sui pazienti. Gli psicofarmaci cambiano il tuo modo di pensare - il tuo modo di essere te stesso.
Attenzione, ciò non significa che non sia giusto o necessario tentare una terapia! Il primo compito del medico - dopo quello di non nuocere - è quello di aiutare, sempre. Ma appunto per l'estrema complessità di decidere dove sta la salute e la malattia prima di fare una diagnosi e di dare terapia, ci si dovrebbe pensare molto. Il farmaco è una risposta alla necessità di rispondere ad una richiesta di aiuto...ma lo psicofarmaco è qualcosa di cui ci si vergogna, di cui si ha paura e che si porta dietro l'etichetta di matto.
Io non sono nessuno per insegnare a fare il medico, tanto meno lo psichiatra. Sono però un testimone di come le cose non vadano assolutamente come si legge sui libri di medicina e di come lo stesso stato italiano non offra strutture dignitose per cercare di favorire l'inserimento dei diversi.
Il reparto di psichiatria è un'esperienza agghiacciante, senza il camice.

Ci tengo a dire che la mia in fondo è solo una provocazione che certo non vuole minare la validità della psichiatria in quanto tale. So perfettamente che alcuni di questi farmaci sono estremamente efficaci, per non dire insostituibili. Il punto su cui volevo farvi arrivare a ragionare è un altro: "chi dà il diritto a me, medico, di appiccicare una diagnosi di malattia mentale a qualcuno?" L'unica risposta che posso accettare è "se ritengo che faccia bene a qualcuno".


Per come la vedo io schizofrenia, disturbi di personalità, nevrosi etc. sono modi diversi di essere. Ed essere diverso, non sempre si sovrappone a malato. Potrà sembrare una cazzata, ma essere "matto" non per forza vuol dire stare male. Non sono qui a questionare se Mimmo Scialatiello - per tutti Goku - convinto di potersi trasformare in Super Sayan 3 e pertanto saltato dal 4° piano di casa invocando a gran voce la Nuvola Speedy, sia affetto o meno da malattia mentale...Tuttavia di sfumature tra questo tipo di manifestazioni e il vicino "di fuori come un terrazzo" perché non parla mai con nessuno, vaga senza metà apparente con la sua bicicletta e passa le giornate fissando le auto che passano, direi che ce n'è più di una.
Non c'è scritto da nessuna parte che il modo normale di essere sia quello giusto o il migliore. Il criterio con cui siamo portati a crederlo - senza averci quasi mai riflettuto per più di 2 minuti - è perché lo fanno quasi tutti, appunto.
La malattia mentale non sempre è sofferenza in sé stessa. Il dolore in gran parte deriva dall'incapacità di mettersi sullo stesso piano del resto del pianeta - dei normali, se preferite. E guardate che questa è un'esperienza che tutti abbiamo provato. Siamo noi stessi che ci facciamo male a vicenda in questo giochino macabro che si chiama "la gente", al quale non possiamo sottrarci - ma solo aderirvi o opporsi. Molti "matti" non hanno la forza di fare nessuna delle due cose, col risultato di finire schiacciati e tagliati fuori. E non accade perché sono folli, ma perché confrontarsi colla società è difficile, per tutti.
Oggi non si muore più di peste o vaiolo...ma in compenso abbiamo la depressione, e questo vale anche per i normali. Anzi, sono proprio gli psicopatici, i lunatici e gli squilibrati a riuscire a sbattersene un po' di più del mondo e delle sue regole. Forse è per questo che non vengono visti di buon occhio. Credo anche che anche la pietà dei medici, conoscenti, familiari etc. in tutto questo non sia di grande aiuto.

Noi pretendiamo di insegnare cosa sia lo stare bene, quando non c'è mezza persona che ci riesca veramente fino in fondo. Troppo spesso confondiamo l'essere sano, con l'essere normale. Mentre della salute se ne deve occupare il medico, della normalità a mio avviso nessuno ha il diritto di farlo.
L'unico atteggiamento possibile e auspicabile - e difficilissimo, ovviamente - è quello dell'accettazione. Una persona diversa, come non ha bisogno di sentirsi malato e alienato, non ha neanche bisogno di essere compatito o giustificato. Ci sono cose che non possono essere cambiate, ma solo accettate, e questo vale anche per la malattia.

La conclusione di tutta questa invettiva è che si fa presto ad appioppare l'epiteto di pazzo su chi non è normale, ma aldilà della stigmata sociale che questo nome si porta dietro, non aiuta veramente un cazzo di nessuno. Sarei curioso di leggere un referto psichiatrico di Van Gogh, intossicato tutta la vita da dosi da cavallo di luminale - che tra le altre cose fanno vedere aloni colorati attorno agli oggetti - o quello di Goya, affetto da encefalopatia da piombo, che gli causò l'alterazione della percezione cromatica - e la vista di qualche mostro qua e là.
Mi sapete dire una sola persona normale che abbia fatto qualcosa di veramente eccezionale?
In fondo Dalì diceva "L'unica differenza tra me e un folle è che io non sono folle".

La follia fa paura, ma personalmente mi spaventa di più il normale. E ancora di più il numero incredibile di volte che ho sentito dire "questo è psichiatrico" da colleghi o infermieri riferito al paziente di turno, colpevole 90 volte su 100 di essere un rompicoglioni o un fifone.

Una coda di 12 isolati di normali
I matti sono tanti, credo di saperne qualcosa. E se rivedessimo un momentino il criterio con cui queste persone sono reputate tali, credo che sarebbero i normali ad essere in netta minoranza. E sarebbe un bene, lo credo davvero.

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