24 gennaio 2015

Director's cut - Scene

Sei già in piedi, di fronte alla porta blu dalla maniglia verticale. Lato destro del vagone, come sempre.
Un gradino metallico e poi di passo svelto lungo il binario verso il grigiume di un pomeriggio invernale che si spegne assieme alla sigaretta.  Alle tue spalle una lama infuocata squarcia le nuvole fino a farle sanguinare di arancio e rosa. Se non ti fossi fermato un momento sul primo gradino a fare l'ultimo tiro, avresti perso uno di quei tramonti che ti sconvolgono le idee.


Sembra un film, lungo abbastanza perché nella memoria ogni risveglio si perda assieme a quello precedente, e così i mattini e i pomeriggi, senza intervalli o pause pubblicitarie. L'alba fredda e gentile spunta sopra l'Arno per specchiarsi sulla tua visiera, per poi confondersi alla pioggia fine o grossa, che batte sul casco e sul giaccone di pelle mezzo scolorito, in una scena che si ripete ogni mattina dopo la sveglia. Quindi arrivano i camici, ancora senza targhetta o nome - di quelli che in fondo stanno ancora bene addosso agli studenti - che vagano immersi nella luce dei neon caldi e nell'inconfondibile verdolino delle pareti, a prescindere dall'ora o del giorno. Gli ospedali sono tutti uguali, così come l'aroma metallico dei caffè in piedi davanti alla macchinetta o il gusto sciapo del tramezzino al tavolino appena fuori il dipartimento. Un milione di extrasistoli o forse più, tratti ST che non sotto-slivellano mai e chiacchiere di allegria, curiosità, cortesia, pazienza, o blanda sopportazione.

Bomba, libera tutti! Inforchi il motorino come fosse una puledra e via giù lungo l'asfalto e il cemento a scoprire la sera e le piazze. Caffè, aperitivo, pasta, pizza, birra, vino, amaro e cocktail. Facce nuove senza nome, altre di cui non lo ricordi e altre ancora di cui lo sai seppur non te ne freghi un cazzo. Tante facce. Tante comparse che si muovono sul fondale della scena, attorno a un capannello di amici o amiche più o meno tali, che fanno da cornice alla tua sete e alla tua fame. Fame ingorda di novità, di racconti e di ricordi. La parola gira a turno come fosse una canna, e ti porta la storia di una notte in spiaggia sbronzi, del capodanno a Praga piegati come panni, oppure il commento tecnico su una ricciola e i suoi leggings attillati, la recensione sul barista trombatore o della migliore gelateria in città. Il gruppo muta di bevuta in bevuta, per poi sparpagliarsi alla classica domanda infelice "Chi viene a ballare?". Una musica che certo non è la tua - né di nessun altro - finisce di intontirti prima di trovare la strada di casa, proprio accanto alla piazza delle chitarre e dei carrelli della spesa pieni di bottiglie. Chiudi gli occhi sul grande letto chiaro, poche ore prima che rinizi il film.



Stasera sono chiuso in camera. Ci sono comunque voci che passano le pareti di mattoni e suoni che ho innalzato per ritagliarmi qualche minuto senza camice o cappello. Mi aspettano per cena. In realtà non è che aspettino proprio me, ma cambia poco il senso della frase. Adesso è meglio che vada...non tanto per soddisfare l'appetito, quanto per tutelare il buon umore, che forse è rimasto indietro, qualche giorno fa, a guardare il tramonto.

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