6 aprile 2014

Mi chiamo Biagio

“Quando scrivi ancora qualcosa?” Suona strano anche a me, ma è una domanda che mi viene rivolta abbastanza spesso. "Quando avrò qualcosa da dire". A dirla tutta però, i pensieri non mancano, seppur non mi sforzi di trascriverli. La risposta vera è quindi un po' più complessa e noiosa, e ve la risparmio; vi dico solo che parlo troppo per poi avere anche voglia di buttar giù due righe.



È passato molto tempo dal mio ritorno da Praga. Forse due anni possono non sembrare molti, ma quando vivi in centro a Firenze gomito a gomito con gente di tutto il mondo, 730 giorni si traducono in altrettanti volti che non riesci a rivedere nella memoria, nomi che hai scordato e giornate che non sai più raccontare. I “compagni monoporzione” - per parafrasare Fight Club – vanno e vengono con l’alternarsi delle stagioni e dei semestri, scanditi dalle immancabili feste universitarie, le sessioni di esami, i concerti e via dicendo. Lo spettacolo si ripete uguale e divertente, seppur con nuovi attori.
 S’inizia col non accettare più amicizie su Facebook e si finisce col provare una sottile insofferenza verso l’entusiasmo e il desiderio di farsi conoscere delle masse di stranieri che abitano il tuo soggiorno o l’altra parte del tavolo nel locale.

Mi ricordo bene come mi sentivo nel Settembre 2011 con un biglietto per la Repubblica Ceca in una mano e il cappello nell’altra: immaginate di avere la possibilità di lasciarsi alle spalle ciò che fate, dove vivete - praticamente chi siete – per poter riscrivere da capo la vostra vita, coi soldi dell’Unione Europea e circondato da coetanei nella vostra identica situazione. Un Erasmus è per definizione una persona di buon umore e disposizione, e questo perché conosce esattamente quanto tempo gli rimane e non vuole passarlo incastrato nelle stupide logiche sociali di tutti i giorni. Rimanere antipatico a qualcuno richiede troppo impegno, non vale neppure la pena di rispondere alle scortesie. Qualsiasi serata del cazzo si illumina riscoprendo l’eterna verità della frase “se non lo faccio adesso, non lo farò mai più”, e così anche il metallarone si mette la camicia bianca per andare in discoteca e il fighetto si ritrova a fare campeggio trai boschi o a bere una birraccia nella peggiore delle bettole infestate di fumo e vichinghi.
Io nella fattispecie, affascinato dalle bionde e algide Praghesi, partii col chiaro scopo di trombarmele tutte (anche se poi non passò neanche un mese prima che m’innamorassi come una pera cotta di un’italiana). Anche questo rientra nell’effetto Erasmus©, che ha il potere di tirare fuori il lato più positivo dalle persone. A onor di cronaca è importante citare anche altri esemplari di Erasmus che infestano le città. Ci sono, ad esempio, i pesci fuor d’acqua, che non si sanno adattare un briciolo al clima/cibo/orario/lingua, e che trascorrono le serate su Skype lamentandosi di quanto la pomarola fatta con i pomodori tedeschi sia sciapa; i miei preferiti sono invece i cagacazzo, quelli che hanno sviluppato l’incredibile superpotere di trovare (e spiegare a tutti i presenti) almeno 50 buoni motivi per cui nel loro paese di origine le serate sono più fighe, le ragazze più facili, la musica più bella etc etc. Insomma, ogni gruppo Erasmus ha le sue pecore nere, come tutte le buone famiglie.

Perché vi racconto ora tutto questo? Beh perché adesso vivo l’altro lato della medaglia, the dark side of the Erasmus - per così dire. L’assenza di un’occupazione fissa, l’appartamento nel centro della vita notturna fiorentina e una splendida coinquilina brasiliana sono tre motivi più che sufficienti per avere sempre nuove persone che gironzolano per casa e che si stupiscono di conoscere un medico allegro e colla barba rossa.
Non riesco più a stringere legami, e la verità è che comincio a pensare di non volerlo neanche più fare. Sono fortunato a poter contare su due mani gli amici veri, che rimangono nonostante le nostre vite non si incrocino mai, ma al tempo stesso sono una persona sostanzialmente sola, alle prese coll'arduo compito di doversi ripresentare da capo ogni sera. “Ciao, mi chiamo Biagio”.

Alla mia festa di laurea fiorentina in appartamento conoscevo meno della metà delle 150 persone che ballavano la mia musica e calpestavano il mio parquet. C’è poi una ventina di persone che ogni anno comincia a frequentare assiduamente casa mia: mi raccontano chi sono e cosa vogliono fare nella vita; mi parlano dei loro amori, se credono in Dio, cosa trovano di assurdo dell’Italia; s’innamorano, si baciano, vanno a letto insieme, si ubriacano…insomma, vivono. Poi vanno via, per un po’ scrivono, altri fanno fotografie, i più si deprimono. Io resto sempre qui, a parlare delle donne e del vino, degli anni passati in prima linea sol cappello in testa e l’allegria nello stomaco. Ho sempre un pubblico nuovo che per cortesia o per l’effetto Erasmus©, non storce mai la bocca quando sono io a dare la mia interpretazione dei massimi sistemi, di come gira il mondo e del perché “la vita è bella nonostante il mondo sia una merda”.
“È molto più facile portarsi a letto una persona che conoscerla davvero”, ormai in questa battuta io ci sguazzo senza tanti pensieri o remore. Forse avrei bisogno di un po’ più di serietà e spiritualità…ma la verità è che per queste cose c’è sempre tempo, e soprattutto non interessano a nessuno tranne che al diretto interessato, e cioè, a me. La conversazione è molto sopravvalutata, e se uno deve aprire bocca per dire le solite sacrosante banalità privo della minima convinzione, allora farebbe meglio a bere una birra e fare il cretino. Se notate una vena di cinismo o di rassegnazione nelle mie parole, vi prego però di non confonderle per nichilismo o depressione. Le regole del gioco sono queste, vanno accettate e se possibile imparare ad aggirarle. Il difficile è essere contenti nonostante questo, ma alla fine il provare ad esserlo è l’unica cosa per cui vale davvero la pena impegnarsi.
Dal mio canto l’unica cosa buona che sono riuscito a fare in questi mesi è di non aver preso in giro nessuno ed essere sincero, al limite della spietatezza. Dire la verità è la difesa migliore da ogni cazzata grossa che puoi fare verso te stesso. Riscrivendo un pelo l’imperativo categorico kantiano, direi che sto cercando di vivere senza fare qualcosa di cui poi potrei aver vergogna a parlarne. Voglio non avere segreti. Inutile dire che spesso vengo preso per un mezzo matto o il più contorto dei bugiardi. Il fatto è che nella mia condizione di amicone di tutti – e di nessuno – pochissimi prestano attenzione a quello che dico, e a me va bene così: purtroppo o per fortuna le persone che valgono qualcosa non crescono sugli alberi e quelle di cui mi importa davvero sono ancora meno. È a me stesso e basta che devo la mia coerenza, e ci vuole un bel fegato per farlo - anche solo per digerire tutto l’alcol che questo comporta.

Insomma, credo di avervi spiegato perché non ho voglia di scrivere - anche se avevo detto che ve lo avrei risparmiato - ma come sempre non sono riuscito a starmene zitto.

Voglio essere chiaro, a me tutto questo piace, o comunque sia è il meglio che riesco a fareNon so per quanto tempo durerà, e la cosa strana è che in Via Verdi 13 sono l’unico a non saperlo.

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