La pagina immacolata riflette due borse scure divenute coi
giorni compagne costanti degli sguardi e dei pensieri. Piegato sul computer a
spulciare pagine lette e rilette, l’estate si fonde col bianco di google e l’azzurro
di facebook. La qualità della mia esistenza è sostanzialmente scaduta nelle
ultime settimane…tuttavia è una
malcelata soddisfazione che muove le dita sulla tastiera nella ricerca delle
parole giuste per la tesi; ognuna è una conferma dell’impresa compiuta, un
monumento ai sei anni di esami chiusi nel libretto, non meno celeste di quel
giorno in fila alla segreteria del Morgagni quando mi fu consegnato. Scrivo per
festeggiare, per finire, per non pensare. L’obbiettività estraniante della
composizione scientifica richiede un grado di soggettività pari a quella necessaria
a cambiare canale o mettersi i calzini, e questo in fin dei conti è un bene. I
voli pindarici e le linee guida europee sulla gestione dell’Ipertensione
Arteriosa mal si conciliano. Eppure -
quante volte avverbi come eppure o tuttavia, ciononostante, ma, se, rovinano la linearità di un pensiero
altrimenti cristallino come uno shot di vodka? - Eppure, dicevo, ci sarebbe tanto a cui pensare. Ben comprendo che
il concetto di quantità, molto o poco, quando si parla di riflessioni
risulti essere almeno poco attinente…eppure
non so come esprimermi più chiaramente.
Scegliendo quindi di non scalfire ulteriormente la
superficie increspata di questa nube di pensieri dall’aspetto tutt’altro che sereno,
vi racconto una storiella.
Recentemente, l’altrimenti
tranquillissima comunità montana de Le Piastre, paesucolo biecamente arrampicato
sulla montagna Pistoiese, è stata sconvolta da un avvenimento del tutto
straordinario. Gli abitanti raccontano di bambini in lacrime e di forze dell’ordine
impegnate con tutti i loro mezzi per riportare alla normalità una situazione
giunta ormai ad un passo dal precipizio.
Protagonisti di questa storia, come di qualsiasi storia che
valga davvero la pena raccontare, sono due animali, che una natura beffarda e violenta ha voluto nemici da tempo
immemorabile: un gattino rosso - il cui nome preferisco non riportare per
rispetto della privacy della bestiola stessa - e Jasmine, una cagnotta tutta
denti con un occhio solo. Jasmine, aveva trascorso i suoi pochi anni di vita
ricca di poche certezze, ma solidamente costruite all’interno di un giardino
fin troppo grande per lei soltanto. Una di queste era che tutto ciò che osasse
muoversi fuori dal grigio cancello di Villa Fiorita, ben si meritasse i
peggiori dei rimproveri e i più minacciosi dei latrati, di cui lei stessa era fin
troppo generosa elargitrice. Non sopportava, in particolar modo, l’ardire di
alcuni ragazzetti che, armati di fucilini, sovente correvano proprio sulla
strada di fronte inscenando improbabili inseguimenti con tanto di violenti
scontri a fuoco. Imperdonabili, assolutamente imperdonabili. A nulla servivano
infatti in quel caso, i richiami all’ordine di cui la lupetta era tanto
prodiga: poteva abbaiare per ore ed ore, ma quei discoli furfantelli mai la
piantavano di scorrazzare qua e là sparandosi addosso o mirando invisibili - ma
non meno divertenti - bersagli. Il culmine della scelleratezza fu raggiunto,
comunque, quando uno dei criminalotti in questione, un bel giorno di sole si
presentò al branco di teppisti stringendo un’orribile creatura e malvagia. L’abominio
in questione, appariva visibilmente stordito: il piccolo muso peloso si muoveva
lento e con evidente fatica qua e là, le narici minuscole si aprivano
affannosamente come per cercare di cogliere chissà quale notizia portata dalla
calda brezza dell’estate pistoiese, le zampette fulve erano tutte rattrappite
nella mano del bambino e davano appena
segni di vita col loro lieve levarsi e
stiracchiarsi, gli occhi di un vacuo grigio come appena dischiusi alla luce di
un mondo troppo splendente per essere osservato direttamente. La cosa che più
di ogni altra fece impazzire dalla rabbia la povera cagnotta fu il constatare
come tale mostruosa sintesi di bruttezza fosse sorprendentemente oggetto di speciali
attenzioni da parte di chiunque la vedesse: non solo i terribili infanti si
perdevano in coccole e moine sdolcinatissime per quel rospo dal pelo rosso, ma tutti
i passanti che la vedevano si fermavano a passare la mano su quel musino
grottesco; le dita scendevano inesorabili non per colpire le mascelle striate o
tirare i vampireschi orecchi cotonosi, bensì per solleticare il piccolo mento dell’animaletto
ripugnante e per carezzarlo! Jasmine non sapeva certo cosa pensassero gli uomini
coi loro pelami bizzarri e i loro sederi profumati di fiori, ma di una cosa era
certa: quella creatura era malvagia, e di una malvagità così subdola dal
riuscire ad attrarre a sé i poveri stolti uomini. Ma lei no, lei non si sarebbe
fatta abbindolare da quella leggera goffaggine che colorava ogni spostamento
del mostro e che veniva accompagnata dai sospiri e i versetti degli ignari
spettatori. Lei sapeva che quei pomellini rosa lucido che abitavano le zampette
tremule della peste, non erano morbidi doni della dolcezza che la natura regala
ai cuccioli, bensì concentrati di cattiveria e perfidia. Potete ora forse immaginare quello che provò
la povera cagnetta quando anche Francesco, il più giovane e quindi scellerato – ma non per questo
scusabile – membro del suo branco familiare, aprendo il grande cancello si
avviò verso l’ignobile gatto manifestando apprezzamenti verbali e perfino una
carezza. Basta, era troppo, la situazione stava degerando, e lei sapeva bene
che una soluzione doveva essere trovata al più presto, a qualsiasi costo.
Dall’altra parte del cancello, il sole era alto e colorava il
mondo di vivi colori, ignoti fino a pochi giorni prima. La vita era sempre stata
dolce, prima scandita dal latte caldo della mamma e dai sottili lamenti dei
fratellini, quindi da coccole infinite e giochi: palline, filini, buffe macchie
luminose e riflessi, specchi, guanciali e uccellini…il mondo non finiva mai di
proporre spunti di profonda riflessione nonché oggetti di infiniti agguati e
corse. Ogni giorno il sole spuntava, e mentre le zampette - adesso ben più
robuste e pronte a scattare come molle - si facevano sempre più sicure nel
passo, la casa si arricchiva costantemente di nuovi angoli da scoprire, celati cantucci
in cui nascondersi, avventurosi cespugli da esplorare e cortecce sui cui
affilarsi gli splendenti artigli. Ben poco quindi contava il dover miagolare
più volte affinché quei cretini di bipedi comprendessero il loro dovere di
servire il cibo…era un sacrificio sopportabile, dopotutto quelle lunga dita
rosa sapevano talvolta regalare momenti di meritatissimo relax. Con questi
sentimenti il gattino rosso continuò a crescere per alcune settimane, così come
cresceva il territorio che riteneva essere di sua naturale proprietà. Ben
presto ogni albero del vicinato recava i segni indelebili delle sue unghie, e
non c’era pietra che non avesse conosciuto l’invisibile tocco di piuma del suo
balzo…beh, quasi ogni pietra: c’era ancora quel grande giardino recintato,
abitato da quella curiosa creatura monocola così fastidiosa e rumorosa; lì non
c’era mai stato. Aveva camminato su e giù sul muretto che regge l’elegante inferriata
circondante la villa, e bene aveva studiato la geografia del posto attraverso
le assi di ferro fitte anche se non abbastanza da impedire il passaggio di un
agile esploratore quale lui era. Quella creatura bionda e pezzata scura, sempre
impegnata ad abbaiare al minimo movimento, gli appariva ad un tempo rozza e
stolta, ma comunque sostanzialmente inoffensiva per un magnifico felino come si
sentiva. Non aveva mai avuto occasione di visitare quel giardino che ogni
giorno si svegliava sorridente nel sole di Luglio eppure ancora segreto al
tatto delle sue delicate zampe tigrate, ma sapeva che niente può fermare uno
scaltro cacciatore dal raggiungere la sua preda, e lui era il migliore che
conoscesse.
I nostri due eroi continuarono ad odiarsi e studiarsi vicendevolmente
con infinita cura e precisione ancora per giorni e giorni, fin quando Jasmine –
incolpevole - chiusa in casa per sbaglio per alcune ore, non venne meno ai suoi
doveri di guardia costante di Villa Fiorita. Era l’occasione perfetta: il gatto
rosso, saltò furtivamente attraverso un’apertura nell’intreccio di metallo che
lo divideva dal tanto agognato giardino e cominciò a gironzolare tra le rose
variopinte e i gigli selvatici che spuntavano qua e là per il prato. Ecco però che
la porta di casa si spalancò, e la lupa in quello che sembrò meno di un battito
di ciglia fece scattare le snelle zampe curve, e lanciando le spalle dietro
alla bocca deformata in un sorriso aguzzo e spaventoso, volò all’inseguimento
dello sventurato felino. Ora ti mangio. Dall’altra parte, il cuore esplose in
una raffica di mitra accompagnato da un
grido assai poco elegante che fuggì dalla bocca sempre così delicata,
sconvolgendo il rosso pelame in una corrente agitata di stizze e dilatando gli
occhi grandi adesso praticamente smisurati. Così conciato il micio percorse
alla velocità della luce i pochi metri che lo dividevano dal cancello, ma preda
della folle corsa, anziché saltare quest’ultimo ostacolo e trovare quindi la
desiderata libertà, decise di arrampicarsi sul più alto faggio lì vicino.
Jasmine, approfittando della sciagurata decisione dell’avversario,
cominciò ad esibirsi nella più splendida collezione di minacce che conosceva e
facendo sfoggio dell’impeccabile avorio delle sue fauci, girava ossessivamente a terra con la bocca spalancata, attendendo un insperato dono dal cielo. Che piacere,
che scena impagabile. La cagna sentì finalmente calda e liquida la
soddisfazione, che saliva su dal terreno da lei amato, raggiungere la sua gola
ed esplodere in violenti ululati di gioia ai piedi dell’albero. Vendetta,
tremenda vendetta. L’altro invece, tutt’altro che tranquillizzato dalla
salvifica altezza raggiunta, non finiva di tremare e affondare gli artigli
curvi nella corteccia di quel faggio divenuto d’improvviso scenario di una
sfiancante guerra di posizione degna delle trincee della grande guerra.
Purtroppo il narratore, richiamato lontano da Villa Fiorita,
non potè assistere oltre a tale spettacolo, per cui le notizie da qui riportate
sono frutto di alcune comunicazioni telefoniche avvenute il giorno seguente con
la madre che verranno trascritte fedelmente.
“Ciao mamma” “Ciao passerotto…ah! Ti devo raccontare di
Jasmine col gatto! E’ successo il finimondo!” “Cioè? Non è ancora sceso? S’è
incazzato il padrone? Ma con tutti i posti che c’erano quel cretino di gatto
doveva infilarsi proprio lì dal cane? E poi come cazzo si fa a salire su un
albero e poi a nun saper scendere?!” “Macchè…abbiamo dovuto chiamare i
pompieri, i quali hanno detto che è un classico, e che oltretutto quei poverini
di gatti si lasciano morire pur di non scendere dalla paura.” “I pompieri? E
sono venuti?” “Certo…immaginati la scena: il bambino del vicino in lacrime e
noi mortificatissimi per l’avvenuto, il padre più accomodante che cercava di
farlo smettere mentre provava a richiamare la bestiolina. Poi è arrivato il
camion rosso, seguito da tutti i vicini” “Che dì…ci credo, i pompieri alle Piastre
sono un avvenimento di pe’ ridere” “Aspetta…loro ci hanno chiesto ovviamente di
mettere Jasmine in casa – che poerina era già chiusa da 20 ore – e poi hanno
tirato fori la scala. Ma non ce l’hanno mica fatta! Quel bischero di gatto non
s’è lasciato prendere ed è salito ancora più in alto, dove la scala non
arrivava!” “No via, un ci credo…e quindi?” “E quindi nulla…tornano oggi
pomeriggio, perché non c’era modo di tirarlo giù. Tra l’altro stasera né io né Fede
ci siamo, quindi abbiamo chiesto ad Arnaldo di pensarci lui”
Passa qualche ora
“Mamma? Allora?” “Aspetta Franci che ti fo ridere…Praticamente
ho telefonato ad Arnaldo, che mi ha raccontato che in serata sono tornati i
pompieri con un camion con una scala ancora più lunga” “Ce l’hanno fatta?” “Sì
sì, stessa scena di stamani, il bambino in lacrime, il babbo a consolarlo e i
pompieri che salgono la scala…Solo che Arnaldo deve aver parlato con tanta
gente giù al bar, perché dice che c’era tutto il paese a fare il tifo!” “Ahahaha…ci
credo i pompieri due volte nello stesso giorno alle Piastre è un evento unico!”
“Infatti…gli unici che se lo sono persi siamo noi. Comunque poi è finito tutto
bene…dice che Il gatto pareva più morto che vivo quando l’hanno tirato giù, ma
il bambino se l’è ripreso e ha smesso di piangere” “E la gente?” “La gente ha
applaudito, e che doveva fare? Jasmine e il gatto sono sulla bocca di tutto il
paese. Tra l’altro la tu cagna è stranamente contentissima. Pensa a fatto le
feste a tutti i pompieri.” “Ah sì??”
E così, un po’ insensatamente e un po’ banalmente si
conclude la storia dei due animali pistoiesi…Per chi si aspettava un finale più
eccitante mi rammarico e ricordo che purtroppo o per fortuna la vita per quanto
colorata possa essere raccontata, finisce sempre con lo scadere nella grigia
normalità.
Concludo dicendo che sono contento di aver ricominciato a
scrivere.